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Pisanu: ”Stato-Mafia, nessuna trattativa ma una parziale intesa tra le parti”

di redazione

Roma, 9 gen. – “Sembra logico parlare, più che di una trattativa sul 41 bis, di una tacita e parziale intesa tra parti in conflitto”. Lo dice Giuseppe Pisanu, presidente della Commissione Antimafia, nelle sue comunicazioni finali sui grandi delitti e le stragi di mafia del ’92-’93.

“Noi conosciamo le ragioni e le rivendicazioni che spinsero Cosa Nostra a progettare e a eseguire le stragi, ma è logico dubitare che agì e pensò da sola”, sottolinea Pisanu. “Di certo – rimarca – non prese ordini da nessuno, perché ha sempre badato al primato dei suoi interessi e alla autonomia delle sue decisioni. Tuttavia, quando le è convenuto, quando vi è stata convergenza di interessi, non ha esitato a collaborare con altre entità criminali, economiche, politiche e sociali”.

“I vertici istituzionali e politici del tempo, dal Presidente della Repubblica Scalfaro ai presidenti del Consiglio Amato e Ciampi, hanno sempre affermato in tutte le sedi di non aver mai, in quegli anni, neppure sentito parlare di trattativa. Penso – afferma Pisanu – che non possiamo mettere in dubbio la loro parola e la loro fedeltà alla Costituzione e allo Stato di diritto”.

“Tuttavia – spiega Pisanu – rimane il sospetto che dopo l’uccisione dell’onorevole Lima, uomini politici siciliani, minacciati di morte, si siano attivati per indurre Cosa nostra a desistere dai suoi propositi in cambio di concessioni da parte dello Stato. In particolare, l’onorevole Mannino, ministro per il Mezzogiorno nella prima fase della trattativa (lasciò l’incarico del giugno del 1992, n.d.r.), avrebbe preso contatti a tal fine con il comandante del Ros, generale Subranni. Sull’onorevole Mannino – ricorda Pisanu – pende ora una richiesta di rinvio a giudizio per il reato aggravato di minaccia a un corpo politico, amministrativo e giudiziario. Analoga richiesta, ma per un periodo diverso, pende sul senatore Marcello Dell’Utri”.

“Occorre anche ricordare – prosegue Pisanu nelle sue comunicazioni – che Nicola Mancino, ministro dell’Interno dal giugno 1992 all’aprile 1994 è stato indicato, per sentito dire, dal pentito Brusca e da Massimo Ciancimino come il terminale politico della trattativa. Il primo lo indica stranamente associandolo al suo predecessore Rognoni che, peraltro, aveva lasciato il ministero dell’Interno del 1983, 9 anni prima dei fatti al nostro esame; il secondo è un mentitore abituale. Audito dalla nostra commissione – sottolinea Pisanu – Mancino è apparso a tratti esitante e persino contraddittorio. La Procura di Palermo ne ha proposto il rinvio a giudizio per falsa testimonianza. Le posizioni degli ex ministri Mannino e Mancino sono ancora tutte da definire in sede giudiziaria: una semplice richiesta di rinvio a giudizio non può dare corpo alle ombre”.

“Formalmente – ricorda Pisanu – la trattativa si concluse nel dicembre 1992 con l’arresto di Vito Ciancimino. Un mese dopo, il 15 gennaio 1993, fu arrestato il capo dei capi Totò Riina. Se i due arresti fossero riconducibili in qualche modo alla trattativa, quale sarebbe stata la contropartita di Cosa nostra? La mancata perquisizione del covo di Riina – chiede ancora Pisanu – e la garanzia di una tranquilla latitanza di Provenzano che, proprio per questo e per prenderne il posto, avrebbe venduto il suo capo? E alla fin fine, quale sarebbe stato il guadagno dell’astuto mediatore Vito Ciancimino'”.

“Allo stato attuale della nostra inchiesta – rimarca il presidente della commissione – non abbiamo elementi per dare risposte plausibili. Quel che possiamo dire è che i Carabinieri e Vito Ciancimino hanno cercato di imbastire una specie di trattativa. Cosa nostra li ha incoraggiati, ma senza abbandonare la linea stragista; lo Stato in quanto tale, ossia nei suoi organi decisionali, non ha interlocuito e ha risposto energicamente all’offensiva terroristico-criminale”.

 

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Per il presidente della Commissione Antimafia dunque, “ci fu almeno una trattativa tra uomini dello Stato privi di un mandato politico e uomini di Cosa nostra divisi tra loro e quindi privi anche loro di un mandato univoco e sovrano”.

“Ci furono tra le due parti convergenze tattiche ma strategie divergenti – spiega Pisanu nelle sue comunicazioni – i carabinieri del Ros volevano far cessare le stragi, i mafiosi volevano invece svilupparle fino a piegare lo Stato”.

“Piegarlo fino a quale punto? – chiede Pisanu – All’accettazione del papello o di qualche sua parte? A rigor di logica e a giudicare dai fatti, non si direbbe. Se Cosa nostra accettò una specie di trattativa a scalare, scendendo dal papello al più tenue contro papello, e da questo al solo ridimensionamento del 41 bis, mantenendo però alta la minaccia terrificante delle stragi, c’è da chiedersi se il suo reale obiettivo non fosse ben altro: e cioè il ripristino di quel regime di convivenza tra mafia e Stato che si era interrotto negli anni ’80, dando luogo a una controffensiva della magistratura, delle forze dell’ordine e della società civile che non aveva precedenti nella storia”.

“Certo – rimarca Pisanu – l’obiettivo era ambizioso, ma il momento era propizio per la mafia e per tutti i nemici dello Stato democratico. Per quanto risulta dalla nostra inchiesta – aggiunge – le trattative cessarono sul finire del 1993 e le stragi nel gennaio del 1994, con il fallimento dell’attentato allo stadio Olimpico e con l’arresto, quattro giorni dopo, dei fratelli Graviano, capi militari dell’ala stragista. A quel punto Cosa nostra aveva perso la partita su entrambi i fronti”.

Parlando della strage di Capaci, Pisanu sottolinea che ”fu necessaria una speciale competenza tecnica” per l’attentato a Giovanni Falcone. ”Mi chiedo: Cosa nostra ebbe consulenze tecnologiche dall’esterno?”.

La speciale competenza tecnica, spiega Pisanu, fu necessaria per realizzare un innesco che evitasse l’uscita laterale dell’onda d’urto dell’esplosione e la concentrasse invece sotto la macchina di Falcone.

“Sulle scene degli attentati e delle stragi – sottolinea Pisanu – abbiamo visto comparire, qua e là, figure rimaste sconosciute, presenze esterne: da dove venivano? Gruppi politico-terroristici come ‘Falange armata’ rivendicarono tempestivamente degli attentati di Cosa nostra: come si spiega? Solo negli ultimi anni – fa notare il presidente della Commissione Antimafia – è stato scoperto il gigantesco depistaggio delle indagini su via D’Amelio, depistaggio che ha lungamente resistito al tempo e ha ben due processi: chi lo organizzò? E perché furono lasciati cadere i sospetti che pure emersero fin dagli inizi? Potrei continuare con domande analoghe – spiega Pisanu – ma queste mi bastano per dire che, a conclusione della nostra inchiesta, non si sono ancora dissipate molte delle ombre che avevo già intravisto nelle mie comunicazioni alla Commissione del 30 giugno 2010”.

Redazione

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