Gli imprenditori dovevano fare i conti con Giovanni Vitale, che era uscito dal carcere e tornava ad assumere la leadership del mandamento mafioso. L’incendio che nel novembre dello scorso anno bruciò il furgone e il portone di casa del costruttore Giuseppe Amato, dove fare capire a tutti chi comandava in paese. La vicenda è stata ricostruita dai carabinieri del gruppo Monreale che per mesi hanno seguito il figlio del noto boss Vito Vitale. L’obiettivo del rampollo era quello di rafforzare la cosca, indebolita dagli arresti a catena degli ultimi anni e dal pentimento della zia, Giusy Vitale. I militari hanno piazzato le microspie nella macchina di un amico di Vitale junior, Giovanni Serra, marinaio imboscato per motivi di malattia, arrestato nei giorni scorsi. E proprio grazie a queste intercettazioni, gli investigatori sono riusciti a ricostruire tutte le fasi dell’attentato. Il 10 novembre 2010, Giovanni Vitale, Santino Lo Biundo, e i fratelli Giovanni e Pietro Serra, tutti finiti in manette nell’operazione di martedì, si danno appuntamento in un locale di Partinico e dopo iniziano i sopralluoghi per pianificare l’attentato. Le microspie registrano tutto e un dispositivo gps installato nella Y10 di Giovanni Serra, individua ogni spostamento. Viene localizzata la casa, ‘quella con la facciata gialla e la persiana scura’ dice Vitale junior che poi aggiunge ‘ci sarebbe un botto’. Poi vede anche la vettura dell’imprenditore e dice ‘quella bianca è la macchina’ e infine indica il portone. Dopo questo sopralluogo ne seguiranno altri e infine alle 3 scatta l’attentato contro il costruttore Amato.
(Teleoccidente)
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