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Paolo Borsellino, 32 anni fa la strage di via D’Amelio

Domani ricorre l’anniversario della strage di via D’Amelio, avvenuta trentadue anni fa, il 19 luglio 1992, quando il magistrato Paolo Borsellino fu ucciso, 57 giorni dopo la morte del suo collega e amico Giovanni Falcone. Nonostante i processi e gli sviluppi giudiziari, molti interrogativi sulla strage restano ancora senza risposta.

Quell’anno, due attentati eliminarono due magistrati in prima linea nella lotta alla mafia, uccidendo anche otto agenti delle scorte e la moglie di Falcone, il magistrato Francesca Morvillo. Tra la strage di Capaci e quella di via D’Amelio, pianificate dalla mafia per eliminare i due giudici attivi contro Cosa Nostra, passarono cinquantasette giorni. Le immagini di quei due tragici eventi restano ancora oggi impresse nella memoria collettiva.

Il 19 luglio 1992, poco prima delle 17, una forte esplosione scuote via D’Amelio a Palermo. Un’autobomba, una Fiat 126 rubata e carica d’esplosivo, esplose davanti all’abitazione della madre di Paolo Borsellino. Il giudice, accompagnato dalla sua scorta, si stava recando a farle visita. Mentre Borsellino si trovava davanti al portone d’ingresso, il telecomando che attivava la bomba fu azionato, trasformando la via in un inferno. Muoiono Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta: Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina ed Emanuela Loi, la prima donna della Polizia a morire in una strage di mafia. Tra gli agenti della scorta sopravvisse solo Antonino Vullo. Sparì anche l’agenda rossa del magistrato, contenente i suoi appunti.

Soltanto 57 giorni prima, il 23 maggio 1992, un altro attentato aveva ucciso il giudice Giovanni Falcone, la moglie e magistrato Francesca Morvillo e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Quell’esplosione colpì il corteo di auto su cui viaggiavano, lungo l’autostrada A29 verso Palermo. Meno di due mesi separarono le due stragi che tolsero la vita a due dei magistrati più attivi nella lotta alla mafia.

Nei cinquantasette giorni tra le due stragi, Borsellino, consapevole di essere un obiettivo di Cosa Nostra, continuò il suo lavoro con coraggio. “È normale che esista la paura, in ogni uomo, l’importante è che sia accompagnata dal coraggio”, diceva. “Non bisogna lasciarsi sopraffare dalla paura, altrimenti diventa un ostacolo che impedisce di andare avanti”.

Borsellino e Falcone, simboli della lotta alla criminalità organizzata, con il pool antimafia crearono un nuovo metodo investigativo, riconoscendo la struttura verticistica di Cosa Nostra e portando avanti il maxiprocesso. La mafia aveva ucciso magistrati, investigatori, politici, giornalisti, soffocando la società e l’economia. Il maxiprocesso, iniziato nel 1986, rappresentò la risposta dello Stato. Tuttavia, le stragi del 1992 segnarono profondamente la storia del Paese.

La memoria di quanto accaduto resta viva e ogni anno a Palermo e in tutta Italia le stragi vengono ricordate con cerimonie, manifestazioni e cortei.
-foto Agenzia Fotogramma –
(ITALPRESS).

Redazione

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