Palermo ricorda Giuseppe Insalaco, il sindaco dei 100 giorni

Palermo ricorda per la prima volta Giuseppe Insalaco, il sindaco dei 100 giorni

Commemorato ieri a Palermo, a Palazzo delle Aquile, per la prima volta dopo 24 anni dalla sua uccisione, Giuseppe Insalaco, un uomo il cui ricordo è rimasto sempre nell’ombra. E invece era un politico capace, un padre amorevole e un uomo onesto e intransigente, che venne ucciso per mano di chi non aveva accontentato. Il suo sogno era sgretolare una casta, un sistema antico che minava le fondamenta della nostra città, Palermo.“Il mio errore è stato capire cosa è veramente Palermo da sindaco”. Queste le ultime parole di un sindaco dimenticato come un’ombra che ancora non si arrende all’indifferenza.

“Giuseppe Insalaco ha fatto tanto per la città di Palermo e ha pagato il prezzo più alto. Una vittima della mafia, ma anche una vittima della politica. E purtroppo, a differenza di altre vittime più illustri, noi siamo considerati di serie B. Di fatto non esiste una lapide, una via, una piazza intitolata a Giuseppe Insalaco”. Con queste parole, ieri pomeriggio, Luca Insalaco, figlio dell’ex sindaco di Palermo, ucciso 24 anni fa, ha voluto ricordare suo padre e denunciare l’assenza delle istituzioni.

“Spero che dopo le amministrative, quando tornerà l’equilibrio – continua Insalaco – che sia il sindaco, che sia il presidente della Regione o dell’Ars, qualcuno possa dedicare, come per tutte le altre vittime a cui sono state intitolate strade, parchi, vie, una commemorazione per un uomo che sicuramente è stato un eroe”.

Intervenuto all’incontro anche il presidente dell’Ordine dei giornalisti di Sicilia, Riccardo Arena che ha ricordato come fosse Palermo negli anni di Insalaco: “Palermo era una città difficile, dove mafia e politica convivevano gestendo i cosìdetti grandi appalti. E chi denunciava rischiava due volte. Insalaco, come successe per altri in quegli anni, fu vittima anche della macchina del fango, della calunnia. Venne accusato di qualcosa per cui non si è mai trovata una prova. Quell’ex sindaco dei 100 giorni venne arrestato per una tangente di 20 milioni, e venne così delegittimato. L’interlocuzione che coraggiosamente aveva aperto con Giovanni Falcone, sulla connivenza tra mafia e politica, si fermò. Magistratura e forze dell’ordine, così come gli organi di informazioni che riportavano ciò che veniva detto loro, furono portati su una strada anziché un’altra. Dobbiamo dunque pensare al grumo di interessi dell’ex sindaco e dell’allora Dc capaci di tenere in pugno e di farsi tenere in pugno dall’armata corleonese che insanguinava quotidianamente le strade di questa città. Questo grumo era in grado di depistare e persino eliminare chi si opponeva al loro potere, come Insalaco e, prima di lui,  Mattarella e La Torre. Oggi, nonostante i vari tentativi di riscrittura, c’è sempre una sorta di imbarazzo verso questa figura. Ma solo quando si riuscirà a fare chiarezza sul proprio passato, questa città potrà pensare al futuro”.

“Tutti pensavano che fosse un sindaco di transizione, dopo un sindaco dimissionario forte (Martellucci), e prima ancora il sindaco del rinnovamento (Elda Pucci) – ha ricordato Elio Sanfilippo, presidente LegaCoop Sicilia – invece Insalaco sindaco fu in ciclone! Nei primi dieci giorni fece fin troppe cose. Depose corone di fiori a Dalla Chiesa e a Brancaccio. Celebrò per la prima volta il 25 aprile per ricordare gli ideali della resistenza e la lotta antifascista. Scrisse una lettera a Craxi per chiedere che venisse fatta luce sulla tragedia di Ustica. Insalaco non si ferma, colpisce con freddezza i punti del sistema di potere di Palermo, facendo ruotare tutti i capi ripartizione del Comune di Palermo. Cassò dalle municipalizzate tutti quei personaggi eletti dai partiti collusi dalla mafia. Il 5 dicembre, quando non era più sindaco, si recò a Roma per deporre alla commissione antimafia. Il quadro che emerse era terribile: un sistema mafioso con regia di Vito Ciancimino. Quello, a mio avviso, fu un manifesto della lotta alla mafia. Conservo ancora una lettera che mi fece avere dal carcere. Mi disse: “Mi affido a te come un fratello, sono stanco. Aiutami”. Non riuscimmo ad aiutarlo, eravamo troppo deboli rispetto ai potenti in campo. È una vergogna – conclude Sanfilippo – che non esiste una strada, una via che porti il suo. Merita di stare accanto alle altre vittime illustri di mafia”

Presente anche Nicola Ravidà, ex collega di Insalaco nella segreteria dell’allora ministro Restivo, e già deputato all’Ars. “Insalaco si dedicò alle istanze della città – ha ricordato Ravidà – Appena eletto mi chiese un consiglio e io gli dissi: “Affronta i grandi temi: acqua, zone industriali, sanità. Poi avrai autorevolezza ed esperienza per incidere sui nodi profondi”. Lui invece mise i piedi nelle paludi, nelle sabbie mobili, nei fili elettrici. E rimase solo. Allora io feci un percorso diverso e scelsi la politica regionale. Mi dispiace non avere seguito l’esperienza di Pippo qui al Comune. Poteva capitare a me, è la sorte e il pericolo di qualsiasi riformatore. Di Pippo oggi ci rimane il suo sorriso, quella freschezza, la spontaneità”.