Categories: Cronaca

Omicidi dello ‘stato’ di crisi: lavoratori uccisi da paure e debiti

di redazione

 

Era il 15 febbraio scorso, quando a Paterno’, in provincia di Catania, un imprenditore 57enne si e’ ucciso impiccandosi, in preda alla disperazione a causa dei debiti della sua azienda. L’uomo, sposato e padre di due figli, era stato rinvenuto in un capannone in un deposito di proprieta’ della ditta della quale era titolare e che si occupava della costruzione di macchine per l’agricoltura. Da allora ad oggi, in appena quattro mesi, il numero degli imprenditori e dei lavoratori uccisi dalla crisi è cresciuto a dismisura e soltanto ieri si sono verificati altri tre casi in Italia.

Chiedo perdono a tutti… Visto che sono un fallito ho deciso di farla finita. Senza lavoro non posso vivere“. Il biglietto d’addio è stato ritrovato nella tasca dei pantaloni di Generoso Armenante, l’uomo di 48 anni che si è suicidato impiccandosi ieri pomeriggio a Salerno. E’ stata la figlia di 19 anni a scoprirne il corpo. Armenante – si legge nell’Ansa – è stato solo il primo di una nuova giornata di suicidi legati alle difficoltà economiche, che ha visto, sempre a Salerno, un altro morto, un disoccupato che si è sparato al petto. Nel milanese, invece, un imprenditore si è ucciso impiccandosi per la crisi della sua azienda. Tutti e tre hanno lasciato messaggi per spiegare l’angoscia di un futuro tra debiti e disoccupazione. 

Armenante, addetto alla guardiania di un cash&carry della zona industriale di Salerno, da circa un anno e mezzo, dopo che la ditta da cui dipendeva aveva cambiato proprietà, era senza lavoro. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato ordine di sfratto dall’alloggio, all’interno della struttura commerciale, che occupava assieme alla famiglia. A fine giugno avrebbe dovuto lasciare quella casa, dove da circa un mese e mezzo, racconta la sorella, Tina Armenante, “viveva senza luce”. Non era riuscito a pagare la bolletta e così gli avevano staccato tutto. “Mio fratello era un uomo di grande dignità e non aveva mai voluto essere aiutato da noi – racconta tra le lacrime la sorella -. In passato ha aiutato noi tutti, per noi era un punto di riferimento”. Una speranza, costante, Generoso l’aveva: “Di essere riassunto dalla nuova ditta subentrata a quella che lo aveva licenziato. Ci ha creduto fino all’ultimo. Poi oggi… la fine”. L’uomo era legato da rapporto di lavoro con la società Cavamarket S.p.A. (detentrice dell’immobile), recentemente dichiarata fallita e non con l’attuale Caramico S.p.A. A ritrovare il cadavere è stata la figlia di 19 anni con la quale l’uomo, assieme alla moglie, aveva pranzato. Da quanto è trapelato, nulla lasciava presagire che quello sarebbe stato l’ultimo pranzo di Generoso Armenante con la sua famiglia. Alzatosi da tavola, il 48enne è uscito dall’abitazione, lasciando il telefonino a casa. La figlia, non vedendolo rientrare, ha deciso di cercarlo. Lo ha fatto prima nel piazzale del deposito, poi si è incamminata nel capannone e dietro un telo di cellophane ha rinvenuto il corpo senza vita del genitore. L’uomo, originario di Vietri sul Mare (Salerno), lascia anche un altro figlio di 14 anni.

Aveva, invece, 60 anni, ed era titolare di un’azienda in crisi, l’imprenditore trovato morto impiccato a Cesate (Milano). A trovare il cadavere alle 17.30 nei boschi del parco delle Groane sono stati dei passanti. Da tempo aveva difficoltà a pagare i dipendenti della sua azienda, la Essetitre. Oggi l’imprenditore, sposato e padre di due figli, si è allontanato da casa nel primo pomeriggio, senza avvertire i familiari. Da Saronno ha raggiunto in auto Cesate, a pochi chilometri di distanza, si è inoltrato nel bosco e si è impiccato a un albero. Nel biglietto, ritrovato ai piedi del cadavere, ha motivato il gesto con i debiti contratti dalla sua piccola impresa.

Aveva 62 anni l’operaio edile, Angelo Coppola, che si è ucciso, sempre a Salerno, con una fucilata al petto. L’uomo, disoccupato da Natale, viveva con la moglie e i figli a San Valentino Torio (Salerno). Accanto al corpo dell’uomo è stato rinvenuto un biglietto su cui c’era scritto: ‘Senza lavoro non si puo’ vivere”. L’operaio era disoccupato dal dicembre scorso, quando la ditta per la quale lavorava, non avendo più commesse, era stata costretta a rinunciare alle sue prestazioni.

Mentre il governo attuale e quelli precedenti si rimpallano le responsabilità di questa crisi, la gente muore. Non saranno le smentite di Monti o le ‘scuse’ sull’operato dei predecessori a far tornare in vita queste anime straziate e uccise da vergogna, paure e debiti.

Redazione

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