“Il fatto non sussiste”. Insomma non era lui a “stalkerizzare” la compagna, nonché madre dei suoi figli che lo aveva denunciato anche per maltrattamenti.
Davanti al Gup Bruno Fasciana non solo l’accusa è caduta, ma si è scoperto che, sostanzialmente, le parti erano invertite.
Dai tabulati telefonici esaminati in giudizio si è scoperto, infatti, che la donna in appena cinque mesi aveva chiamato il compagno, un poliziotto, oltre mille e cinquecento volte sul cellulare e non il contrario come ci si sarebbe aspettato da uno stalker.
La vicenda prese l’avvio nel maggio 2013, quando la compagna presentò denuncia sostenendo che nel corso di una delle liti sempre più frequenti, l’uomo aveva minacciato di bruciarle la macchina, che in effetti era andata a fuoco: solo che i pompieri consegnarono una perizia che parlava di incendio per cause accidentali.
Peraltro era lo stesso poliziotto a pagare le rete quindi, di fatto, avrebbe prima di tutto danneggiato se stesso.
Le accuse però avevano retto al vaglio del Gip e del Tribunale del Riesame e si era arrivati al processo.
Come misura precauzionale l’agente era stato anche sospeso dal servizio attivo e gli era stata ritirata la pistola di ordinanza.
Davanti al Gup però, oltre alla storia delle telefonate che davano una diversa chiave di lettura del rapporto di coppia, non è stato presentato alcun referto medico che certificasse i maltrattamenti ed anche i parenti della donna hanno testimoniato che a loro non risultava alcuna forma di violenza messa in atto dal poliziotto nei confronti della compagna o dei figli.
Il pubblico ministero aveva chiesto ugualmente una condanna a due anni e due mesi di reclusione, ma l’udienza si è conclusa con la piena assoluzione.
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