“Non c’è campo”, il blackout dell’indifferenza sociale
PALERMO – Sarà proiettato questa sera, alle ore 20:30, presso il cinema Gaudium, in anteprima nazionale, “Non c’è campo”, il cortometraggio del regista Manfredi Russo. Dopo i grandi successi ottenuti con “Cose di questo mondo”, arrivato in finale ai David di Donatello, “Vampa di core”, una produzione totalmente indipendente, menzionata tra i primi 32 cortometraggi in Italia ai Globi d’Oro, e “Il sogno americano”, vincitore del Todi Festival, il regista e attore palermitano torna con un’opera di grande spessore sociale, che ha già ottenuto il favore della giuria del Festival di Venezia, dove il corto è in gara.
Tra gli interpreti del film, prodotto da Cinemapro e realizzato con la collaborazione del fonico Roberto Garilli Seregni Steri e di Veronica Randazzo, direttore della fotografia e del montaggio, ritroviamo, oltre allo stesso Manfredi Russo, Benedetto Raneli e Carmen Vella.
Manfredi, da cosa nasce l’idea di un blackout delle linee telefoniche?
«Nasce dalla constatazione che siamo ormai schiavi della tecnologia: osservando i miei alunni alla scuola di cinema di Palermo dove io insegno, notavo che si facevano prendere dal panico se “non c’era campo”, non c’era copertura del segnale e non potevano di conseguenza usare il telefonino e connettersi a internet. Leggendo, poi, su una rivista scientifica di una ricerca americana che sosterrebbe il fatto che entro il 2020 possa esserci un collasso mondiale delle linee telefoniche ed elettriche, perché stiamo per esaurire le scorte energetiche e al tempo stesso non abbiamo investito sufficientemente nelle energie rinnovabili, ho deciso di realizzare un cortometraggio in cui si verifica un blackout in Vaticano, dove io interpreto il ruolo del segretario del Papa, al quale mi rivolgo per informarlo che “il mondo è totalmente al buio” e che il panico ha preso il sopravvento. “Lo eravamo già al buio, – mi risponde Sua Santità – forse in questo modo riusciremo a vedere la luce destre nostre coscienze».
È un film, dunque, in cui è presente una riflessione spirituale importante.
«Si, e in cui la preghiera ha un ruolo centrale: la mia preghiera insieme al Papa, che vuole essere uno strumento di congiunzione tra quello che io rappresento nel film e la Chiesa, e quella di un prete durante una veglia funebre, che si trasformerà presto nel palcoscenico del cinismo più sfrenato, amplificato dall’interruzione della corrente elettrica, metafora del blackout dell’indifferenza sociale».
In tutti i cortometraggi che ha realizzato finora è evidente la sua attenzione al sociale. Possiamo affermare che molto spesso, e in vari contesti della società, si verifica un blackout della legalità?
«Assolutamente si. Quello che io mi propongo, attraverso il cinema, è sensibilizzare la gente verso determinate tematiche a sfondo sociale: credo che il cinema, più di ogni altra espressione artistica, grazie alla sua capacità evocativa, riesca ad arrivare all’anima dello spettatore e a rendere possibile un cambiamento. “Chiamate un ambulanza”, che ha ricevuto diversi riconoscimenti in Spagna e America, oltre che in Italia, affronta il tema dei padri separati e della malasanità. “Vampa di core” parla dello scandalo delle Terme di Sciacca, seconde solo alle terme brasiliane ma inspiegabilmente tenute chiuse, mentre in “Cose di questo mondo” sottolineo come la raccomandazione sia una piaga che amplifica il disagio giovanile».
“Non c’è campo” è stato definito un tributo al cinema degli anni ’40. Cosa la lega a quella stagione?
«Più che un omaggio al cinema degli anni ’40, lo considererei un omaggio al grande cinema italiano: nel finale c’è un tributo al grande Totò. Sicuramente dal punto di vista fotografico abbiamo fatto una scelta particolare, perché il corto è tutto in bianco e nero, il che ha un carattere molto evocativo del cinema d’altri tempi».
Qual è il suo rapporto con i social ?
«Io sono sentimentalmente legato alla carta, al suo profumo, al suo rumore. Sono un romantico, che fino a tre mesi fa andava in giro con un telefono datato e per situazioni varie mi sono dovuto “arrendere” alla tecnologia. Sembrerà incredibile, ma la prima cosa che ho fatto quando mi è stato dato un telefono di ultima generazione è cercare i tasti, poi piano mi sono “assuefatto” anche io».
I social però vi sono tornati utili per la realizzazione della colonna sonora.
«Proprio così! Io e i miei collaboratori eravamo alla ricerca di una colonna sonora per il film, cercando sul web ci colpì quella di Lee Maddeford, un compositore statunitense, che abbiamo contattato e che ci ha generosamente concesso il brano».
Prima di “Non c’è campo”, stasera verranno proiettati “Chiamate un’ambulanza” e “Vampa di core”. Cosa ha fatto ricadere la scelta su questi due corti piuttosto che su altro?
«Prima di tutto perché “Vampa di core” non era mai stato proiettato a Palermo e volevo in questo modo omaggiare la mia città. Per “Chiamate un’ambulanza” la motivazione è simile, in quanto sono state davvero pochi i palermitani che sono riusciti a vederlo, a causa della capienza ridotta del cinema in cui lo presentai tempo fa. È un modo per ringraziare la mia città e tutti coloro che mi seguono e mi sostengono».
Il suo legame con Palermo è molto forte e si evince dalla decisione di voler tornare dopo i vari successi ottenuti. Cosa l’ha spinta, in seguito, a voler insegnare cinema?
«La decisione di tornare è stata fortemente criticata, ma ho voluto ascoltare i palermitani che mi chiedevano “fai qualcosa anche per noi”, richiesta che mi ha molto toccato e che mi ha portato a dare vita al progetto socio-culturale “Directing for Camera”, di durata biennale, rivolto a tutti senza limiti di età e dove le barriere si abbattono. Il teatro e il cinema mi hanno dato tanto, ma allo stesso tempo non riesco a rimanere insensibile a situazioni di indigenza e di povertà, anche culturale, e fare qualcosa per gli altri attraverso spettacoli di beneficienza, mi rende felice».