Nasce l’Archeo-ristorazione: cenare tra colonne, anfore e capitelli

Un complesso termale di origine romana, circondati da anfore, colonne e capitelli, all’interno di sale sovrastate da volte a sesto acuto, a botte, a tutto sesto.

Affacciato nella spiaggia di Cefalù, iconica perla del Tirreno, il cui profilo è disegnato dall’imponente roccia, il ristorante Le Terme è stato ricavato all’interno di un complesso termale di origine romana. L’esperienza, è quella dell’archeo-ristorazione, circondati da anfore, colonne e capitelli, all’interno di sale sovrastate da volte a sesto acuto, a botte, a tutto sesto. 

All’inizio era un magazzino pieno di polvere, detriti, calcinacci e pietre. Successivamente, grazie all’investimento e alla passione della famiglia Barranco, ristoratori e proprietari di Le Terme, il complesso urbanistico di via Bagni Cicerone, accanto al famoso lavatoio medievale, svela le sue bellezze storico-architettoniche. 

La probabile origine romana, il segno delle diverse stratificazioni, il chiaro impianto termale, arrivano dopo due anni di lavori di restauro e recupero, affidati all’architetto Salvatore Curcio, sotto l’alta sorveglianza della Soprintendenza di Palermo. Dal certosino lavoro di recupero e restauro architettonico, sono emersi vani con volte a sesto acuto, a botte, a tutto sesto, colonne, capitelli, anfore, le sospensurae  delle vasche termali e i vani di passaggio degli antichi impianti che ne fornivano l’acqua. Senza mai sovrapporsi agli elementi e alla struttura originaria, prendono forma le sale del ristorante Le Terme, attraverso un gioco architettonico di strutture leggere di vetro e acciaio, che convivono armoniosamente e in maniera lineare con l’antico impianto murario e la tessitura dei mattoni delle volte. Il colpo d’occhio è immediato, insieme all’effetto cinematografico che continua fino alla terrazza con vista sulla spiaggia.

Toni Grande

Lo chef: la mappa gastro-culinaria di Toti Grande ci porta fuori dalla comfort zone siciliana

Architetto per un soffio, siciliano di nascita, viaggiatore per vocazione, Toti Grande, abbandona scalimetri e carta da schizzo per i fornelli. Studi blasonati alla scuola di cucina Alma, sotto la direzione del celebre Gualtiero Marchesi, si forma nelle cucine dell’Esplanade di Massimo Fezzardi, a Desenzano del Garda,  a Malta con Giuseppe Strippoli, oggi chef  al Lanesborough Celeste.  Il ritorno a Sud inizia in Calabria, nel ristorante della famiglia Ceraudo. In Sicilia, la sua terra, approda al Gagini di Palermo, lavorando a fianco di Gianni Lettica.

La sua mappa gastro-culiaria ha coordinate ben identificabili: si parte dalla sua Sicilia, per poi approdare in America e in Asia. Si esce fuori dalla comfort zone siciliana in maniera sottile, elegante, garbata. Matrice mediterranea, pochi ingredienti, come Marchesi docet, tecniche di cottura chiaramente francesi, apertura al mondo con ingredienti e accostamenti che attingono alle culture di altri paesi, e che con Grande diventano suggestioni culinarie.

Una Sicilia quindi contemporanea, quella che lo chef vuole condividere e rappresentare, che non ha paura di tessere trame con il Giappone o di strizzare l’occhio al Nord America.

“La cucina deve stupire, incuriosire, fare vivere un’esperienza, commenta Toti Grande. Non mi piace spingermi con le sperimentazioni eccessive, piuttosto amo giocare con un ingrediente che ci porta fuori dai confini della Sicilia, facendoci approdare in terre lontane da noi”. 

Il menu: Sicilia, Asia, suggestioni americane e tecnica francese

Sono principalmente tre, i piatti che lo rappresentano: il polpo scottato con mozzarella di bufala affumicata e lardo, il risotto vongole prezzemolo e nocciole, la ricciola con jus di vitello, frutti di bosco e aglio nero.

Senza fronzoli né sbavature, la cucina di Toti Grande riesce ad abbinare, il gambero rosso di Mazara, passion fruit, patata caviale. Ode alla Sicilia nel fusillone con crema di tenerumi, ricotta infornata e pomodorini bruciati. Intrigante l’agnello con olio e menta de demi-glace al caffè mentre il tonno è servito con la panella, la salsa al mosto d’uva e crescione. Intrigante è il raviolo ripieno di fagiolo badda, vongole, calamaro e prezzemolo, gioca con l’ingrediente stupore il pacchero con sugo d’arrosto, scampo, gel limone e liquirizia.

I dessert confermano l’eleganza della tecnica di Toti Grande e la sua fascinazione per la Francia. Si inizia con il classico tiramisù per poi arrivare alla frolla sablè, namelaka alle arachidi, salsa con lampone e campari.