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Movida violenta, cosa rischia chi partecipa a una rissa dove “ci scappa il morto”

 

Due morti durante la movida del sabato sera in poco più di un mese – per fermarci a Palermo e dintorni – non è una media incoraggiante. Anzi, preoccupa molto per due motivi. Intanto, perchè dimostra che è in aumento la frequenza con la quale giovani e giovanissimi passano alle vie di fatto per motivi sempre banali, nonostante l’intensa campagna educativa che da anni orienta le coscienze al rifiuto della violenza.

La seconda fonte di preoccupazione è, ci rendiamo conto, figlia di una considerazione spicciola ma drammaticamente fondata: le occasioni in cui si verificano questi episodi drammatici sono sempre le stesse: le uscite del sabato sera, la discoteca, la movida notturna, eccetera. Un’occhiata di troppo – la classica “taliàta” -, oppure una provocazione qualsiasi sono micce che danno fuoco alle polveri in pochi istanti. Il surriscaldamento degli animi può sfociare in una “sciarra”, fatto di per sé tutt’altro che irrilevante perchè le cronache dimostrano che ci si può rimettere la vita, o può degenerare fino a fare saltare fuori pistole e coltelli. Gli effetti di questo far west notturno li troviamo sulle prime pagine dei quotidiani.

Cosa prevede il codice penale

Evidentemente, la prospettiva di passare i guai con la legge non deve fare molta paura a chi perde il lume della ragione per uno sguardo o una rispostaccia, né a chi ritiene cosa normale trascorrere la serata con un’arma in tasca.

Eppure ognuno sa che il codice penale punisce chiunque partecipi ad una rissa, che presuppone la presenza di almeno tre persone intente ad aggredirsi a vicenda.

La pena base – una semplice multa – non fa paura effettivamente a nessuno. Il discorso cambia se nella rissa qualcuno si fa male o ci rimette la pelle: in questo caso è previsto il carcere da sei mesi a sei anni.

E se la “sciarra” interessasse soltanto due contendenti? La sanzione dipenderebbe dalle conseguenze: le lesioni personali sono punite in base alla loro gravità, all’uso di un’arma, eccetera. L’ipotesi più drammatica è quella che si verifica quando ci scappa il morto. Omicidio volontario o preterintenzionale? Il primo fa spalancare le porte del carcere, che si richiuderanno alle spalle del colpevole per almeno ventuno anni, senza considerare le eventuali aggravanti che – nei casi più gravi – conducono all’ergastolo.

L’omicidio preterintenzionale, che si verifica quando la morte della vittima non è voluta – letteralmente va “oltre l’intenzione” – ma è conseguenza delle lesioni o delle percosse, è punito con la reclusione da dieci a diciotto anni.

Sanzioni che, come vediamo, dovrebbero scoraggiare chiunque dall’affrontare il rischio di subirle, anche se fossero diminuite per il riconoscimento di attenuanti o sconti di pena di altra natura. Un futuro dietro le sbarre o con le “carte macchiate”, evidentemente, non riesce a frenare la voglia di perdere il controllo. Così come non ha alcun effetto deterrente l’idea di dover portare un peso sulla coscienza per aver ferito o ucciso qualcuno.

E’ allora proprio su quest’ultimo aspetto che occorre interrogarsi: cosa può generare in un ragazzo un impulso di tale potenza? Perchè i messaggi positivi che vengono diffusi a tutti i livelli non riescono a prevalere sulla banalità degli istinti? Aspettiamo delle risposte convincenti a queste domande. Speriamo che non tardino troppo ad arrivare.

Paolo Grillo

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