Mostra 1968/2018 PAUSA SISMICA. Alle 16.48, ci fu la terza scossa: si sbriciolarono i muri di Gibellina, Menfi, Montevago, Partanna, Poggioreale, Salaparuta, Salemi, Santa Margherita e Santa Ninfa. Nella notte, alle 2.33, un’altra scossa molto violenta si avvertì fino a Pantelleria. Ma quella devastante, definitiva, fu alle 3.01: il Belìce non esisteva più, i soccorritori si trovarono dinanzi – quando riuscirono a raggiungere la valle percorrendo strade distrutte – un paesaggio lunare, paradossale, senza vita.
Il terremoto che squassò il Belìce, nel cuore del Trapanese, cinquant’anni fa – nella notte tra il 14 e il 15 gennaio 1968 morirono quasi 300 persone (ma il numero esatto non si saprà mai), 1000 furono i feriti e 70 mila gli sfollati – rase al suolo paesi abitati soprattutto da vecchi, donne e bambini, visto che gli uomini erano emigrati in cerca di lavoro.
E portò alla luce una realtà sconosciuta, quella della Sicilia rurale e arretrata che lo Stato aveva dimenticato. Il terremoto del Belìce fu il primo grande “caso” del dopoguerra che mise a nudo l’impreparazione dei soccorritori, l’inerzia dello Stato, lo squallore dei luoghi dove ancora, nel 1976, 47 mila persone vivevano nelle baracche. Le ultime 250 furono distrutte nel 2006.
Nell’anno del cinquantenario, la mostra “1968/2018 PAUSA SISMICA. Cinquant’anni dal terremoto del Belìce. Vicende e visioni” – che la Fondazione Sant’Elia, a Palermo, ospita dal 28 gennaio al 13 marzo. Inaugurazione: 27 gennaio, alle 18 – ripercorre la storia di Gibellina, dal terremoto che la rase al suolo, alla costruzione della città nuova, rifondata sul sogno del suo sindaco Ludovico Corrao.
La mostra – curata dalla Fondazione Orestiadi e coprodotta dalla Fondazione Sant’Elia, in collaborazione con il Comune di Gibellina – va avanti per temi e sezioni che, nel loro intrecciarsi, restituiscono la complessità dell’accaduto.
Si parte dalla notte del terremoto, tra il 14 e il 15 gennaio 1968: gli scatti dei fotografi – Enzo Brai, Nino Giaramidaro, Melo Minnella, Nicola Scafidi – che si precipitarono nella Valle, i primi documenti video, il periodo nelle baracche (Letizia Battaglia). Alla ricostruzione e a Gibellina Nuova è poi dedicata un’intera sezione della mostra che esplora l’urbanistica, le architetture, le sculture attraverso i modelli delle opere realizzate.
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