I chirurghi del Presbyterian Hospital di Pittsburgh sperimenteranno la tecnica dell’animazione sospesa, come ultima risorsa, su 10 pazienti in fin di vita.
L’animazione sospesa è un rallentamento delle normali funzioni vitali dell’individuo senza causarne la morte, indotto mediante mezzi esterni. Al di fuori della fantascienza, l’applicazione di questo processo su esseri umani è del tutto ipotetica.
Questa la definizione di animazione sospesa riportata su Wikipedia, che presto potrebbe necessitare di una modifica. Il team di chirurghi del Presbyterian Hospital di Pittsburgh, guidato dal dott. Samuel Tisherman, sta infatti per dare il via alla prima fase di sperimentazione della tecnica sull’essere umano.
Il test – riporta webnews – coinvolgerà inizialmente dieci pazienti in fin di vita, con tutta probabilità scelti tra quelli che arrivano al pronto soccorso dell’ospedale in gravissime condizioni in seguito a sparatorie o accoltellamenti. L’obiettivo è quello di sospenderne temporaneamente le funzioni vitali e dare ai medici il tempo necessario per portare a termine l’intervento, risvegliando poi il paziente. La procedura è piuttosto complessa e consiste principalmente nella sostituzione del sangue con una soluzione salina, per scongiurare il rischio di ipossia nel cuore e nel cervello. In questo modo, dopo 15 minuti la temperatura corporea scende a 10° C, fermando la respirazione, l’attività cerebrale e quella del sistema cardiovascolare.
Dal punto di vista tecnico in quel momento sopraggiunge la morte, ma considerato che il metabolismo delle cellule tende a rallentare con il freddo, è ipotizzabile la sopravvivenza per un massimo di altre due ore, grazie alla respirazione anaerobica. Una volta terminata l’operazione, ad esempio in caso di emorragia interna, il sangue viene rimesso in circolo riportando così la temperatura del paziente a livelli normali.
Fino ad ora i test sono stati condotti esclusivamente su animali, in particolare suini, raccogliendo risultati incoraggianti. Il primo a farlo è stato nel 2002 il ricercatore Hasan Alam del University of Michigan Hospital. Ovviamente prima che la pratica possa essere adottata su larga scala serviranno solide basi statistiche e una lunga fase di sperimentazione.
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