Montante, l’Antimafia “ortodossa” e i beni confiscati

Da qualche anno sostenevamo, isolati e a rischio di scomunica come sospetti fiancheggiatori del vecchio potere, che Antonello Montante “guru” di Confindustria Sicilia ed emblema della svolta antimafia, aveva accumulato un potere enorme che generava un palese conflitto di interessi.
Dal 2009 ha di fatto nominato tutti gli assessori regionali alle Attività produttive, con una stretta simbiosi prima con Lombardo e poi con Crocetta, nonchè il Presidente dell’IRSAP (Istituto Regionale per lo Sviluppo delle Attività Produttive) ossia braccio politico e braccio amministrativo nel settore in cui si prendono le decisioni che riguardano le sue attività economiche.
Contestualmente ha fato incetta di incarichi: Presidente di Confindustria Sicilia, Presidente della Camera di Commercio di Caltanissetta e di UNIONCAMERE Sicilia, consigliere in Banca d’Italia, delegato per la legalità di Confindustria nazionale e, dulcis in fundo– componente del consiglio direttivo dell’Agenzia dei Beni Confiscati.
E parliamo non di incarichi rivestiti nel tempo, ma tutti insieme appassionatamente, con la possibilità di assegnare, attraverso Confindustria nazionale, una sorta di “bollino blu” della legalità alle altre imprese, indispensabile per poter partecipare agli appalti pubblici.
Ce n’era abbastanza per farsi delle domande e “marzullianamente” darsi delle risposte: ma nel magico mondo dell’antimafia i dubbi non esistono e i sospetti non sono l’anticamera della verità, come per il resto dei comuni mortali.
Poi d’improvviso arriva lo “tzunami”: le accuse di collaboratori di giustizia rivelate dagli organi ufficiali dell’antimafia, inchieste giornalistiche che scoprono l’acqua calda (la posizione di potere raggiunta da Montante & C.) addirittura la scomunica ufficiale come portacolori di “un’antimafia padronale che copre operazioni politiche opache e favorisce gruppi di interesse”. In pochi giorni da icona antimafia a faccendiere di provincia con pesanti illazioni su una rete di amicizie e coperture anche fra giornalisti, investigatori e magistrati che riceverebbero direttamente o indirettamente regalie e posti di lavoro.
Noi non siamo fautori della dietrologia ma una così rapida “conversione a u” deve avere una spiegazione: come mai per cinque anni nessuno vedeva e sentiva e poi, improvvisamente, tutto è diventato chiaro?
Non avendo accesso agli atti coperti dal finto segreto istruttorio, possiamo fare solo ipotesi logiche e notare che la “marea Montante” come viene definita sul web, è cominciata con la nomina all’Agenzia dei Beni Confiscati, un affaruccio da trenta miliardi di euro circa, sulla cui gestione da tempo girano voci di una vera e propria lobby che opererebbe in assoluta discrezionalità. C’è un precedente che rafforza l’ipotesi: la defenestrazione immediata del prefetto Caruso che, da direttore dell’Agenzia, aveva parlato di “uso a fini personali” dei beni confiscati di “parcelle stratosferiche” degli amministratori giudiziari e di “conflitti di interessi fra controllori e controllati”. Ovviamente non si può ritenere che Caruso fosse il depositario della verità, ma appare molto strano che un servitore dello Stato con una quarantennale carriera immacolata faccia delle affermazioni gravissime e venga rimosso senza che sia contestualmente avviata un’approfondita indagine per accertarne la fondatezza.
Ma i “rumors” sulle magagne della gestione dei beni confiscati non finiscono qui: qualcuno parla apertamente di un sistema di incarichi a rotazione ad avvocati che vengono definiti “quotini”, perché restano in carica fino a quando maturano il diritto al sussidio di disoccupazione e poi sono sostituiti da altri “aspiranti disoccupati”. Ovviamente noi non abbiamo alcuna prova dell’esistenza di queste anomalie, ma ce ne sarebbe abbastanza per verificare a fondo il funzionamento del sistema e i rapporti fra chi assegna gli incarichi e chi li gestisce. Possibilmente prima che, dopo Caruso e Montante, ci sia un’altra vittima sacrificale.