Il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, che un paio di mesi fa fece dichiarazioni improvvide su una guerra a guida italiana per fermare l’ISIS, ha annunciato in un’intervista al Messaggero i piani dell’Italia per un intervento se falliranno le trattative diplomatiche per creare nel Paese orfano di Gheddafin una parvenza di governo in grado di controllare militarmente il territorio.
Ci saranno bombardamenti aerei e incursioni di forze speciali per colpire il terrorismo su un territorio che fa capo a un governo amico, con l’autorizzazione dell’ONU a metà tra l’operazione di polizia e la manovra militare. In particolare Gentiloni dice che: “Se c’è una base d’accordo almeno del sessanta per cento delle componenti libiche) la comunità internazionale può investirci, altrimenti si limiterà a interventi di contenimento del terrorismo”.
Ed è proprio contenimento la parola chiave della strategia militare italiana, con un obiettivo ben preciso da difendere: a metà fra Tripoli e il confine con la Tunisia, dove ci sono le piattaforme petrolifere dell’ENI e dove parte il gasdotto Gulfstream che si inabissa in mare per poi riemergere a Gela.
A questo obiettivo guardano dalla nave San Giorgio e dalle altre unità della marina militare giunte a sostegno, Le forze speciali del Consubin Comando subacquei e incursori e gli uomini del battaglione San Marco, allertati per intervenire se la minaccia dell’ISIS alle forniture strategiche per la nostra economia diventasse imminente.
Già nel 2011, al tempo della guerra contro Gheddafi, che molti governi occidentali adesso rimpiangono amaramente, le stesse truppe intervennero a protezione degli impianti anche se si limitarono ad una copertura navale, mentre adesso l’ipotesi di un intervento a terra è sempre più probabile.
A differenza di quattro anni fa, Sabratha oggi sta diventando un’area dove c’è una presenza dell’ISIS, la terza città dopo Derna e Sirte. Il punto è che Derna e Sirte sono centinaia di chilometri più a est, mentre Sabratha è il cuore degli interessi italiani.
Fonti libiche la descrivono come un porto franco per ogni genere di traffico. Si sospetta che i due tunisini che hanno fatto una strage di turisti al museo del Bardo tre giorni fa, siano andati ad addestrarsi a settembre 2014 proprio in quella zona. Si sospetta anche – e sono informazioni che circolano tra le fonti libiche e tunisine e sono difficili da confermare – che proprio a Sabratha si sia nascosto anche Saifullah ben Hassine, nome di battaglia Abu Iyad al Tunisi, ricercato tunisino e capo del gruppo terrorista Ansar al Sharia, che farebbe parte del comando militare del Califfato.
La preoccupazione più imminente riguarda gli scontri in avvicinamento tra i guerriglieri di Alba libica e l’esercito del generale Khalifa Haftar. Proprio mentre le milizie dell’Alba stavano scontrandosi con lo Stato islamico, il generale Haftar, presunto alleato dell’occidente a cui chiede armi, ha attaccato le milizie dell’Alba vicino Tripoli – e quindi ha oggettivamente aiutato lo Stato islamico, a conferma di una situazione in cui è difficile riconoscere alleati e nemici.
I venti di guerra, comunque, soffiano sempre più impetuosi: l’Unione Europea ha fatto sapere che non consentirà che la Libia divenga un trampolino di lancio dell’ISIS per sbarcare sulle nostre coste e si parla di una missione ONU a guida italiana.
Un errore che sarebbe colossale e avrebbe solo l’effetto di indicare a tutti i terroristi il nostro Paese come bersaglio privilegiato: c’è da augurarsi che Renzi non si faccia ingolosire dal ruolo preminente che verrebbe assegnato al suo governo e pretenda che sia la Nato a guidare l’Alleanza.
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