Mentre a Roma si spera, a Palermo si piange

In questa giornata storica di orgoglio siciliano che registra l’insediamento del primo Presidente della Repubblica nato nell’isola, non possiamo dimenticare i problemi che ci portiamo appresso e l’estremo ritardo della classe dirigente regionale nell’affrontarli. Sono trascorsi due anni e tre mesi abbondanti da quando Rosario Crocetta è stato eletto Presidente della Regione con le sue promesse rivoluzionarie e la sua mirabolante squadra composta da scienziati (Zichichi), musicisti impegnati (Battiato), magistrati antimafia (Nicolò Marino): strada facendo si sono persi prima gli effetti speciali (Zichichi rottamato e Battiato esautorato cogliendo al balzo l’infelice battuta sulle donne in Parlamento). Poi è stata la volta di Nicolò Marino: colui che doveva essere il simbolo operativo dell’antimafia declamata (un giorno sì e l’altro pure) da Crocetta, è stato licenziato da Confindustria Sicilia (via Lumia e Crocetta) per aver osato mettere in discussione la gestione delle discariche. In mezzo una serie di macerie a cominciare dalla Formazione professionale che certamente era un enorme bacino clientelare, utilizzato da molti per ottenere finanziamenti e consenso elettorale, ma non meritava di essere asfaltato lasciando ottomila famiglie sul lastrico, senza uno straccio di alternativa. Un chiaro esempio della rivoluzione al contrario di Rosario Crocetta che colpisce i più deboli e lascia in sella i più forti: gli industriali legati al carro di Confindustria (tutti gli altri si possono arrangiare da soli) la dirigenza regionale riciclata pari pari dagli anni dei cattivissimi Cuffaro e Lombardo (Monterosso, Corsello, Silvia etc. etc.). Mentre molti impiegati regionali di bassa forza sono stati epurati con l’etichetta di corrotti e collusi, quelli che comandavano sono rimasti nelle stanze dei bottoni dopo essere stati purificati dal lavacro di Crocetta e Lumia. Nei primi due anni il PD siciliano, prima con Lupo, poi con Raciti e Cracolici, ha fatto fuoco e fiamme denunciando l’inaffidabilità di Crocetta e l’inconsistenza dei suoi assessori (governo di camerieri tuonò l’Antonello furioso) ma da ottobre 2014, quando il mago di Gela si decise a arruolare nella sua giunta personaggi di diretta espressione dei notabili, consentendo loro di riempire gli uffici di gabinetto, Lupo, Raciti e Cracolici hanno perso l’uso della favella e l’unico che parla è Faraone, di cui si dice che è già in campagna elettorale per palazzo d’Orléans. Anche il governo Crocetta ter, che doveva segnare l’inversione di tendenza, risulta non pervenuto e la Sicilia attende solo il momento in cui qualcuno (a Roma o a Palermo) si deciderà fischiare il “game over”.