Palermo, 2 ott.- Dopo 29 anni, e’ ancora uno dei misteri di Palermo: l’assassinio di Lia Pipitone, la figlia venticinquenne di un capomafia molto vicino a Toto’ Riina e Bernardo Provenzano, che fu assassinata nel corso di una strana rapina, il 23 settembre 1983. Anni fa, alcuni pentiti dissero che la giovane era stata uccisa addirittura su ordine del padre, Antonino Pipitone, che cosi’ avrebbe voluto punirla per una presunta relazione extraconiugale.
Ma il padre, boss del clan Acquasanta, e’ stato assolto in tutti e tre i gradi di giudizio. E il mistero e’ tornato fitto. Adesso, il figlio di Lia Pipitone, Alessio Cordaro, e il giornalista di “Repubblica” Salvo Palazzolo hanno deciso di tornare a indagare su questo giallo. Per un anno e mezzo hanno raccolto nuove testimonianze, hanno riesaminato gli atti del processo gia’ celebrato e anche le risultanze di altre inchieste di mafia: ne e’ nato un libro, “Se muoio, sopravvivimi – la storia di mia madre, che non voleva essere piu’ la figlia di un mafioso”, edito da Melampo. {jumi [code/google200x200.html] }Dal racconto-inchiesta emerge l’inedita storia di ribellione di una giovane nei confronti del padre capomafia, un padre-padrone che avrebbe voluto rinchiudere in casa la figlia. E invece, lei riusci’ prima a fuggire da Palermo con il fidanzato, che poi sposo’: padrini autorevoli si mobilitarono per ritrovare i due ragazzi, e il compagno di Lia fu anche portato davanti a un tribunale di mafia. Ma lei non si arrese, continuo’ a contestare il padre e a vivere la sua vita in liberta’. Anche quando una voce insistente nel quartiere inizio’ a dire che stava dando scandalo per la sua amicizia con un uomo. Il libro ha gia’ fatto riaprire l’indagine sull’assassinio di Lia Pipitone: la nuova inchiesta e’ coordinata dal procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia e dal sostituto procuratore Francesco Del Bene. Durante la preparazione del libro, e’ emerso anche il racconto di un pentito, che gia’ anni fa aveva fatto i nomi dei due assassini della giovane, ma all’epoca non era scattata alcuna verifica ulteriore. Angelo Fontana, il pentito dimenticato, conferma che l’omicidio di Lia Pipitone fu voluto da Cosa nostra ed eseguito da due sicari della cosca dell’Acquasanta, che misero in atto una messinscena: il pomeriggio del 23 settembre 1983, la giovane fu uccisa nel corso di una finta rapina a una sanitaria di via Papa Sergio. Fontana svela anche un altro particolare inedito: il giorno dopo l’assassinio di Lia, i due sicari uccisero il migliore amico della giovane, Simone Di Trapani.
E pure in questo caso, inscenarono una terribile messinscena, che e’ durata fino ad oggi: simularono un suicidio, scaraventando Di Trapani dal quarto piano del palazzo in cui abitava, in piazza Generale Cascino. Prima, pero’, lo obbligarono a scrivere un messaggio: “Mi uccido per amore”. Il libro verra’ presentato domani pomeriggio, alle 18.30, alla Feltrinelli di Palermo. Con gli autori saranno presenti il pm Antonio Ingroia e l’avvocato Nino Caleca, legale di parte civile della famiglia Cordaro. Dice Alessio Cordaro, in un’intervista che uscira’ domani sul settimanale “Oggi”: “Mia madre voleva essere libera di vivere la sua vita, ma evidentemente anche questo dava fastidio a Cosa nostra”. Adesso la battaglia del giovane e’ quella di far riconoscere ufficialmente la madre vittima della mafia.
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