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di redazione
La decisione dei giudici del Tribunale dell’Aquila di scarcerare l’ex re delle cliniche di Bagheria, Michele Aiello e di scontare la fine della pena a 15 anni e mezzo di carcere agli arresti domiciliari per una forma di favismo “e’ un’ingiustizia”. E a dirlo non e’ un cittadino comune, ma Vittorio Alcamo, Presidente del Tribunale di Palermo, che in primo grado condanno’ Aiello, ritenuto prestanome del boss mafioso Bernardo Provenzano, a 14 anni di carcere nell’ambito del processo per le cosiddette ‘talpe’ della Procura in cui fu condannato anche l’ex Presidente della Regione siciliana, Salvatore Cuffaro. Alcamo ha scritto una lunga lettera-denuncia al quotidiano ‘Repubblica’ in cui spiega perche’ ritiene ingiusta la scarcerazione di Aiello, condannato per associazione mafiosa. “Faccio parte di un paese in cui i giudici improntano il loro delicato ruolo istituzionale a criteri di sobrieta’, serieta’ e riservatezza e celebrano i valori di Falcone e Borsellino non solo una volta l’anno con parole vuote ma ogni giorno con il loro lavoro – scrive Alcamo nella lettera – In cui le sentenze sono rese nel nome del popolo italiano e la legge e’ uguale per tutti, siano essi poveri cristi o governatori. In cui le pene definitive vanno scontate per intero e con uguali modalita’”. Esprime rispetto per l’ex governatore Cuffaro che, subito dopo la sentenza definitiva a 7 anni, si presento’ spontanemante in carcere a Roma: “Un paese in cui le pene definitive vanno scontate per intero e con uguali modalita’ – scrive Alcamo – E in un paese in cui, devo ammetterlo, un ex potente governatore regionale, Salvatore Cuffaro, si costituisce in carcere per scontare la sua pena dimostrando dignita’ e rispetto per le istituzioni”. “Eppure – prosegue – oggi mi consento uno sconfinamento nell’altra, e ben piu’ popolata, Italia e me ne scuso anticipatamente. Quella dove, purtroppo, accade tutto il contrario dove un imputato, Michele Aiello, condannato con sentenza in giudicato alla pena di 15 anni e sei mesi di reclusione per mafia e’ stato autorizzato dal Tribunale di sorveglianza de L’Aquila a scontare la pena in regime di detenzione domiciliare: per intollerenza alimentare alle fave e ai piselli. Quell’Italia in cui, alla faccia dei detenuti comuni affetti da favismo e ben piu’ serie malattie che scontano anni di carcere, esistono disparita’ cosi’ evidenti da meritare la definizione di ingiustizie. Quell’Italia in cui nessuno si indigna piu’ ed in cui si puo’ arrivare a simili offese dell’intelligenza comune e dei diritti degli altri cittadini privi di mezzi”.
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