I pm della Dda di Palermo, Francesco Del Bene e Lia Sava, hanno chiuso le indagini citando direttamente a giudizio il collaboratore di giustizia Giovanni Brusca per violenza privata.
Si tratta di una soluzione giuridica che permette di saltare l’udienza preliminare e che di solito viene applicata quando la pena prevista per il reato contestato non supera i quattro anni di reclusione.
Per il boia di Capaci, infatti, sono cadute le accuse di intestazione fittizia di beni a causa della prescrizione. Con lui a giudizio andrà anche suo cugino Giuseppe, il postino che avrebbe recapitato le missive che Brusca ha scritto dal carcere di Rebibbia, accusato di concorso in violenza privata. Ora si attende solo che il tribunale fissi l’udienza.
Il caso era esploso nel settembre 2010. Giovanni Brusca aveva scritto lettere di fuoco indirizzate a due coniugi, suoi presunti prestanome in attività di speculazione immobiliare risalenti, però, a tanti anni fa, in alcuni casi anche agli anni Ottanta. Ma la sua corrispondenza è stata intercettata dalla procura di Palermo. Le frasi vergate, infatti, non lasciavano adito a dubbi interpretativi.
”Divento una bestia più di quanto non lo sono stato nel mio passato” scriveva Brusca, che non faceva mancare le minacce: ”Sono disposto ad arrivare fino in fondo, costi quel che costi, e non mi riferisco alle vie legali”.
Oppure: ”Appena ne avrò la possibilità, tuo marito sarà il primo che vado a trovare e poi vediamo se ha i galloni di boss”.
Le indagini avevano coinvolto anche la moglie, la madre, lo zio e il cognato di Brusca, accusati, a vario titolo, di riciclaggio, ricettazione e fittizia intestazione di beni. Il caso aveva fatto parlare di un “tesoro” che Brusca avrebbe occultato nonostante l’avvio della sua collaborazione con la giustizia già dal 1996. Erano stati sequestrati 188mila euro in contanti e venti quadri di autori contemporanei. Beni che sono stati tutti restituiti.
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