Madre! (mother!) è un film del 2017 scritto, diretto e co-prodotto da Darren Aronofsky, con protagonisti Jennifer Lawrence e Javier Bardem, affiancati da Michelle Pfeiffer e Ed Harris.
Un’accoglienza così violenta a Venezia non si vedeva da anni. “Mother!”, in concorso alla 74° Mostra del Cinema, è stato fischiato e deriso e maltrattato. Dopo un’immagine incendiaria e inquietante (della quale conosceremo la logica solo alla fine del film), Darren Aronofsky apre il suo Madre! col risveglio di Jennifer Lawrence in un letto, in cui si risveglia sola. Il suo compagno, infatti, non c’è, allora lei si alza per cercarlo nella grande casa isolata che è il teatro unico delle vicende. Importante è notare l’abbigliamento dell’attrice, vestita solo di una leggera camicia da notte bianca, aderente, che lascia intuire le forme, le rivela in trasparenza e in controluce.
Darren Aronofsky rifiuta di lavorare assecondando la logica, ma procede con un misto di narrazione e suggestione, imbastendo un’allegoria così grande ed onnicomprensiva da prestarsi a tantissime interpretazioni e letture diverse. Una scelta legittima, ma che appare rivelatoria della furbizia un po’ facilona con cui il regista americano cerca di ingraziarsi i suoi spettatori, e di uno sguardo tutto maschile su personaggi e vicende che hanno, invece, l’ambizione di raccontare il femminile.
Jennifer Lawrence è la giovane moglie di Javier Bardem, scrittore e poeta in crisi creativa, che gli si dona completamente, costruendo (letteralmente con le sue mani) la casa dove abitano, prendendosi cura di lui, credendo in lui, ma inutilmente. Infatti, il poeta non ha bisogno solo della sua musa, ma, anche, del Mondo e della Fama. Elementi che entrano realmente in casa loro, come in un “home invasion” che rifà il verso a Rosemary’s Baby di Polanski, che irrompono in modo violento e caotico, con una distruttività che è, poi, specchio delle paure e delle ansie di una donna, di una moglie e di una madre.
L’incedere a grandi passi nel territorio dell’onirico e del metaforico, aprendosi di continuo strade, danno la sensazione che Aronofsky non riesca a controllare questo flusso surreale. Il risultato è un film privo di ordine, facile da disprezzare. La pellicola risulta divisa a metà, con una prima parte che gioca la carta dell’horror psicologico, e una seconda che diventa ridondante e massimalista.
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