Sembrano lontane e sbiadite le immagini di Lucia Borsellino, ai tempi Dirigente generale del Dipartimento Attività Sanitarie, accanto a Rosario Crocetta, in piena campagna elettorale per la Presidenza della Regione, con le braccia alzate che preconizzano la futura vittoria.
A datarle ancora di più la presenza di un Bersani dalla faccia poco convinta, forse presago dell’avvento di Renzi e delle sue rottamazioni annunciate.
Allora Lucia era, al tempo stesso, il volto pulito della rivoluzione e l’icona che certificava l’impegno antimafia di un Presidente in pectore la cui inadeguatezza politica, amministrativa e culturale era nota soltanto in quel di Gela.
Poi i tre governi, i 36 assessori, con un’unica incrollabile certezza: l’inamovibilità della Borsellino, a cui tutti riconoscevano la buona fede e l’impegno, con qualche distinguo solo sulla reale competenza.
Poi venne il caso Humanitas a creare la prima incrinatura dell’immagine dell’Assessore alla Salute, perché o il contratto da lei firmato per l’accreditamento di altri 70 posti letto alla nuova clinica oncologica, rispondeva ad una esigenza oggettiva della Sanità siciliana ed era legittimo e conforme al Piano nazionale e allora non doveva essere revocato cedendo alle pressioni di D’Alia & C.; oppure non era in linea con il Piano e non doveva essere firmato. Anche le dichiarazioni sulla validità del contratto e le motivazioni fornite dall’Assessore per giustificare la revoca erano apparse deboli e contraddittorie: ma il nome e l’immagine avevano fatto superare l’incidente.
Poi venne il caso Nicole e le dure parole del Ministro Lorenzin con annessa ipotesi di commissariamento: sinceramente scossa per la morte della piccola, la Borsellino preannunciò le dimissioni e fece una ricostruzione puntuale all’ARS, accolta da un applauso generale.
Sembrava che anche questa volta la bufera fosse passata ma la bocciatura senza appello del TAR, in relazione alle procedure seguite per revocare il contratto Humanitas, ha riportato la Borsellino nella bufera, prima con un attacco pesante dei grillini e poi con una mozione di sfiducia preannunciata dal centrodestra.
Considerando che l’unica voce che si è levata a difesa è quella di Crocetta, ce n’è più che abbastanza per convincere la Borsellino a gettare la spugna, evitando un “processo” pubblico quale sarebbe il dibattito sulla mozione di sfiducia.
In cuor sull’Assessore si sente “spremuta” e poi abbandonata (come spesso accade in politica) e ritiene di non meritare un trattamento simile: una posizione giustificata solo in parte, perché avrebbe dovuto capire molto prima che il suo nome serviva da foglia di fico ad una “Armata Brancaleone” che ha aggravato i problemi della Sicilia.
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