Lotta al terrorismo: necessario intervento terrestre

Eureka! Finalmente dai classici “pannolini caldi” nella lotta al califfato Jihadista si passa a cure più energiche e adeguate per cercare di distruggerlo. Anche se con notevole ritardo, si è presa coscienza che il terrorismo e le barbarie dei fondamentalisti islamici non si possono combattere solo con i bombardamenti aerei, che sono utili, ma soprattutto con l’impiego di forze terrestri, e questo perché, come è noto, i terroristi usano i civili come scudi umani. Per mettere in atto questa strategia capace di disarticolare il fenomeno, se non a distruggerlo totalmente; il presidente Obama ha chiesto al Congresso di avere, per almeno tre anni, poteri di guerra con l’uso delle forze terrestri.

Le intelligenze dei paesi occidentali ritengono che i foreign fighters sparsi in Siria, Iraq, Yemen, Egitto, Nigeria e in tanti paesi arabi, allettati da lauti stipendi, più che da vocazioni religiose, sono stimabili attorno a tremila unità. Ed allora, che fare ? Sopratutto un working-progress investigativo nei paesi occidentali per oscurare i siti internet utilizzati dai reclutatori per recuperare potenziali aspiranti terroristi da utilizzare, anche come kamikaze, per fare sanguinosi attentati nei paesi occidentali. Tutti i paesi occidentali, sotto attacchi terroristici, debbono coordinare strategie difensive ed offensive per sfruttare, al massimo, le forze e le energie disponibili. Bisogna aumentare la vigilanza nelle frontiere con personale specializzato e con mezzi idonei. Bisogna ritirare il passaporto a tutti quei soggetti sui quali grava il semplice sospetto che possa trattarsi di aspiranti Jihadisti. Bisogno fare tesoro dell’ammirevole reazione della Giordania, piccolo paese con grande orgoglio, dopo la barbara uccisione del suo giovane pilota.

Questa reazione, giustificabile e legittima, non va perimetrata entro i limiti della mera vendetta perché lesiva della sua importanza; ma va inquadrata nel contesto più ampio e meno restrittivo che è quello che vuole essere un “input” a tutte le nazioni minacciate per sollecitare le loro reazioni, anche le più violente, delle quali sono meritevoli questi “campioni” delle atrocità più esasperate.

Purtroppo nei paesi Europei, minacciati dell’Isis, c’è un assordante silenzio che è motivo di serie preoccupazioni perché non si vede organizzato un fronte comune, con intese precise, per un efficiente e sicuro contrasto al fenomeno terroristico. Su questo mancato accordo, su una comune strategia, quello che prevale, ancora oggi, è il self-made casalingo con tutti i suoi limiti .