«Per analizzare il colonialismo, devo ammettere la sua prima forza: la violenza. Vengo tirata fuori da una fila di bambini e presa a schiaffi con forza per calmare gli altri, quando non avevo fatto nulla: ero un’“araba” o, meglio, ero solo un’“araba” che poteva essere ingiustamente punita, senza che nessuno battesse ciglio o senza il rischio di provocare una ribellione, per quello che, peraltro, non aveva commesso. Potevo solo piangere. Doveva essere chiesto a me di scrivere questo testo, nella sincerità più totale, quella dei sovversivi, per poter finalmente accennare a questo affronto, uno schiaffo di una violenza incredibile davanti a tutti gli studenti riuniti in un cortile. Per calmarli. Non avevo fatto niente, ero solo alla portata dello schiaffo: picchiare una bambina, sola, silenziosa, al posto di chi era agitato e urlante».
È uno dei passaggi chiave dell’ultima opera della scrittrice marocchina Rita El Khayat che, con “Lo Schiaffo. La memoria di una donna araba tra colonialismo e resistenza” (pagg. 164), pubblicata da “Mediter Italia Edizioni” nella Collana “Analisi e Documenti”, ci offre una testimonianza personale e diretta supportata da un’analisi storica molto dettagliata, obiettiva, priva di reticenze.
«Raramente si incontrano intellettuali con una libertà così rigorosa e con un’indipendenza così completa. L’essere una donna, nata in un contesto arabo e subito “caduta in mani francesi” – scrive nella prefazione Victor Matteucci -, l’essere posta, cioè, di fronte alla colonizzazione occidentale, ha prodotto in Rita El Khayat, il miracolo di una consapevolezza su più livelli, in cui lei ha trovato sé stessa come sintesi di una complessità in cui tutto era chiaro e coerente, in cui tutto era collegato e tutto si spiegava. Se non avesse fatto questo ritrovamento di sé, è probabile che sarebbe stata schiacciata e lacerata dalle contraddizioni e dalle tensioni cui era sottoposta. Soprattutto, non si ferma. Sottopone l’occidente a un duro giudizio per una storia eurocentrica e colonialista di cui si ostina a non volersi liberare, ma anche il mondo arabo è sottoposto a una severa critica, senza omissioni; anche a costo di dividere, anche a rischio di poter essere isolata».
«La conquista della libertà mi è costata umiliazione e tristezza, lacrime e sangue. Un bambino francese – si legge ancora nel libro -, una volta, mi batté la testa contro una porta nei bagni della scuola Foch. Ho raccolto il sangue nei capelli e non ho detto una parola. È estremamente difficile essere un inferiore che deve accettare di esserlo. Ma questo è ciò che il colonizzatore esige dal colonizzato».
“Lo Schiaffo” è stato presentato all’ultima edizione del “Salone Internazionale dell’editoria e del libro” di Rabat, al quale ha partecipato attraverso l’Istituto Italiano di Cultura di Rabat.
Rita Ghita El Khayat è nata a Rabat, è psichiatra, antropologa e scrittrice marocchina.
Plurinominata a livello mondiale come candidata al “Premio Nobel per la Pace 2008” per il suo forte impegno per i diritti umani universali e la cultura della pace, ha ricevuto la cittadinanza onoraria italiana nel 2006.
Ha studiato medicina a Rabat, psichiatria a Casablanca, e ha completato i suoi studi a Parigi.
Le sue opere si concentrano in particolare sulla condizione delle donne nel Maghreb.
È membro del Consiglio di amministrazione del “Festival internazionale del cinema” di Marrakech (FIFM), ed è stata membro della Giuria sin dalla sua istituzione dal 2001 fino al 2008. In seguito, è stata Presidente della “Commissione Fondi per Assistenza alla Produzione Cinematografica”, fino al 2011.
Ha prodotto più di 350 articoli e 30 opere letterarie tra romanzi e saggi tradotti in varie lingue. Tra le pubblicazioni in italiano più importanti:
“Il Complesso di Medea”, Madri mediterranee, L’Ancora del Mediterraneo, 2006.
“Il Legame”, Baldini, Castoldi, 2007.
“Le figlie di Sherazade”, Jaca Book, 2019.
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