Con la consapevolezza di correre il rischio di essere più monotono degli analisti, dei politologi, degli opinionisti e dei capi di partiti tutti vincitori; nel mio piccolo, con umiltà, senza pretese e vanità di alcun tipo, desidero esercitare, da cittadino qualunque, il diritto di dare la mia opinione su i risultati delle elezioni che hanno evidenziato sorprendenti novità dirompenti e sconvolgenti. Cinque regioni sono state conquistate dalle coalizioni del PD di Renzi; due regioni (una è la importante Liguria) sono state conquistate dal centrodestra in forza della Lega di Salvini con forte crescita di consensi. Ma a tutto questo, che rientra nel normale e nell’ordinario, c’è da aggiungere fatti e situazioni senza precedenti storici che hanno condizionato, prescindendo dalle normali dinamiche elettoralistiche, il risultato delle elezioni.

Sono due i fatti abnormi e paradossali di indiscutibile gravità che, oltre a falsare il risultato, hanno dato ulteriore impulso al processo di degrado della politica che non è più controllabile né contenibile. Senza faziosità, e con doverosa equidistanza dalle parti interessate, il riferimento è alla querelle sorta tra Rosy Bindi leader antimafia, e De Luca candidato vincente al governatorato della Campania. Causa della querelle è stata la inclusione di De Luca nella black list degli impresentabili, dalla Bindi, in forza del suo mandato istituzionale e della legge Severino. De Luca, ritenutosi diffamato, ha adito le vie legali con una denuncia querela contro la Bindi. Non si entra nel merito della questione perché sarà la Magistratura, ora, a stabilire che ha torto o ragione; ma sembra piuttosto paradossale che, a ridosso dell’apertura delle urne, possa essere stata impiantata una querelle fra esponenti di alto profilo politico che militano nelle file dello stesso partito. L’altro fatto, certamente grave, perché ha coinvolto tante persone del PD, è stato la perdita del governatorato della Liguria per esclusiva causa del “fuoco amico” non come danno collaterale, ma voluto e organizzato.

Orbene: se la litigiosità fra avversari politici, quando non è ideologica, è legittima perché comparabile alla normale dialettica politica costruttiva; quella che si instaura tra componenti dello stesso partito, e che si “contrabbanda” come dialettica interna, è fortemente lesiva della stabilità del partito. Ebbene: se è vero che le correnti all’interno dei partiti ci sono sempre state; è anche vero che non hanno mai debordato da certi limiti per rispetto ai valori coesivi e alla deontologia politica. Sull’argomento litigiosità politica è intervenuto, recentemente, anche il Presidente della Repubblica con un autorevole e accorato appello ai politici con queste testuali parole: “la litigiosità in politica allontana i cittadini dal voto”. La astensione, al di sopra del 50 % in queste elezioni, è la “cartina di tornasole” di quanto affermato dal Mattarella.