di Romana Ranucci
ROMA (ITALPRESS) – Negli ultimi 10 anni si è allargato il divario tra le condizioni economiche delle generazioni. Più una persona è giovane, più è probabile che abbia difficoltà. La situazione si è invertita alla fine degli anni 2000: la grande recessione ha penalizzato di più le giovani generazioni.
E’ quanto emerge dal rapporto annuale dell’Istat, presentato alla Camera. L’età adulta, oggi non può più essere considerata sinonimo di stabilità e certezze acquisite. Nel rapporto si legge che nel 2023, la spesa media mensile per consumo delle famiglie residenti in Italia è pari a 2.728 euro in valori correnti, in aumento del 3,9% rispetto all’anno precedente, trainata dall’ulteriore aumento dei prezzi; in termini reali, la spesa media si riduce dell’1,8%. In aumento la povertà assoluta, pari all’8,5% tra le famiglie e al 9,8% tra gli individui.
Si raggiungono così livelli mai toccati negli ultimi 10 anni, per un totale di 2 milioni 235 mila famiglie e di 5 milioni 752 mila individui in povertà. Nell’intero periodo 2014-2023 l’incidenza di povertà assoluta individuale è aumentata di 2,9 punti percentuali, e tutte le fasce da 0 a 64 anni hanno peggiorato la propria posizione più della media (con un massimo di +4,5 punti percentuali per i minorenni). Le fasce di età più anziane hanno, invece, limitato il peggioramento a poco più di un punto percentuale. Preoccupa il calo demografico e della popolazione: nell’ultimo decennio (2012-2023) è diminuita di oltre un milione di unità (-1,8%). Le previsioni demografiche di lungo periodo indicano un rafforzamento della tendenza allo spopolamento delle aree economicamente meno attrattive e all’invecchiamento.
In prospettiva, saranno i più giovani e la popolazione attiva a diminuire, mentre crescerà in misura consistente la popolazione in età avanzata, soprattutto al Centro-Nord. Nel Mezzogiorno il fenomeno è già molto severo poichè la denatalità si associa da tempo alla ripresa dei flussi migratori.Le previsioni demografiche indicano una tendenza allo spopolamento e all’invecchiamento: entro il 1° gennaio 2042, la popolazione residente in Italia potrebbe ridursi di circa 3 milioni di unità, e in 50 anni (1° gennaio 2072) di oltre 8,6 milioni.
Negli ultimi due anni è rallentata la perdita di popolazione in atto dal 2014. Al 31 dicembre 2023, la popolazione residente ammonta a 58.989.749 unità, in calo di 7 mila persone rispetto alla stessa data dell’anno precede. Il 2023 ha fatto registrare l’ennesimo minimo storico in termini di nascite. Nonostante una riduzione dell’8% dei decessi rispetto al 2022, il saldo naturale della popolazione resta fortemente negativo. Negli ultimi anni si è, inoltre, ridotto l’effetto positivo che la popolazione straniera ha esercitato sulle nascite a partire dai primi anni Duemila. Passando ai dati sull’economia si legge che nel triennio è cresciuta più della media dell’Ue27 e di Francia e Germania tra le maggiori economie dell’Unione. Alla crescita si è associato il buon andamento del mercato del lavoro. Tra il 2019 e il 2023 l’Italia è l’economia cresciuta a un ritmo più elevato tra le quattro maggiori dell’Unione europea, recuperando il livello del Pil di fine 2019 già nel terzo trimestre del 2021. A confronto con l’ultimo trimestre del 2019, a fine del 2023, il livello del Pil era superiore del 4,2% in Italia, del 2,9 in Spagna, dell’1,9 in Francia e solo dello 0,1% in Germania. Solo a fine 2023 il Pil reale è tornato ai livelli del 2007: in 15 anni, si è accumulato un divario di crescita di oltre 10 punti con la Spagna, 14 con la Francia e 17 con la Germania. Se si confronta il 2023 con il 2000, il divario è di oltre 20 punti con Francia e Germania, e di oltre 30 con la Spagna. Positivi i dati sull’occupazione: nel biennio 2022-2023, secondo le stime di contabilità nazionale, a fronte di un rallentamento dell’attività misurata in termini di crescita del Pil (+4,0% nel 2022 e +0,9% nel 2023), il numero di occupati in Italia è cresciuto a ritmi sostenuti (+1,8% in entrambi gli anni). Nel 2023 rispetto al 2019, la crescita dell’attività economica (+3,5%) è stata il risultato del contributo di 2,3 punti percentuali dell’occupazione e di 1,4 punti dell’aumento delle ore lavorate per occupato, mentre la produttività oraria misurata sul Pil ha sottratto 0,3 punti.
(ITALPRESS).
– Foto: Agenzia Fotogramma –
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