“Il personale penitenziario non va lasciato solo a fronteggiare la gestione sempre più complicata dei detenuti al 41 bis. L’aggressione, ennesima, contro un agente penitenziario a Novara da parte di un detenuto al 41 bis ripropone una questione che come sindacato di polizia penitenziaria abbiamo sollevato più volte e che riguarda il controllo dei 749 detenuti rinchiusi in 12 istituti penitenziari italiani di massima sicurezza”. Così il segretario generale Aldo di Giacomo che aggiunge: “dopo l’arresto di Messina Denaro in tanti – politici e non – hanno “riscoperto” il 41 bis sino alla nota dichiarazione della Premier Meloni secondo la quale “il regime del “carcere duro” «esiste ancora» grazie al suo governo, alimentando non poche polemiche per la confusione tra 41 bis e regime di ergastolo ostativo.
Ma sinora nessuno si è occupato delle particolari condizioni di lavoro di forte stress e senza strumenti adeguati a cui è sottoposto il personale dei 12 istituti al quale sono demandati troppi e delicati compiti non solo di sorveglianza. È dunque arrivato il momento di un confronto a tutto campo con l’Amministrazione Penitenziaria e il nuovo recente DAP dottor Giovanni Russo su aspetti specifici del nostro lavoro. Come – aggiunge Di Giacomo – vanno affrontate questioni riferite alle condizioni di detenzione al 41 bis rispetto al resto della popolazione carceraria. Per non girarci intorno: le cure specialistiche oncologiche garantite a Messina Denaro stridono con l’impossibilità per tanti detenuti “normali” persino di potersi curare i denti”.
“C’è poi il problema – continua – del centinaio di istanze presentate per la scarcerazione e per usufruire di ogni beneficio di pena. Il piano su cui sta lavorando il Procuratore nazionale antimafia Melillo merita la massima condivisione e il massimo sostegno e vigileremo perché non ci siano sabotaggi occulti e palesi. Per noi la sola eventualità di uscite dal carcere o anche di benefici di pena per mafiosi e terroristi equivalgono alla resa incondizionata dello Stato e ad un oltraggio alle tante vittime di mafia, tra le quali magistrati, poliziotti e giornalisti.
È un’ipotesi che va assolutamente e tempestivamente scongiurata. Per questo siamo a sostegno di Procura nazionale antimafia e forze dell’ordine che stanno lavorando a un modello operativo per frenare uscite pericolose per i cittadini. Si pensi solo alle gravissime conseguenze per il ritorno a casa di boss e pericolosi criminali che – aggiunge – riprenderebbero il controllo diretto di clan e territori. Come se non bastassero gli ordini impartiti dalle celle via telefonino, secondo i tanti casi accertati dall’inizio dell’anno grazie agli interventi della polizia penitenziaria e le numerose denunce di magistrati antimafia. Adesso aprire i portoni delle carceri – afferma Di Giacomo – diventerebbe un brutto segnale innanzitutto ai magistrati e alle forze dell’ordine che continuano a lavorare duramente e con sacrificio e contestualmente ai cittadini.
Non si sottovaluti che i casi di intimidazione via telefono dalle celle hanno già prodotto una sensibile riduzione di denunce specie da parte di imprenditori, commercianti, operatori economici che sono i più esposti alla criminalità per effetto dell’attuale difficile crisi internazionale, insieme al calo dei collaboratori di giustizia. Figuriamoci cosa accrebbe se i criminali tornassero a circolare per le città magari incrociando le loro vittime. Inoltre, per tutto il Corpo della Polizia Penitenziaria sarebbe un autentico sbeffeggiamento perché mentre i servitori dello Stato nelle carceri sono impegnati, anche a rischio dell’incolumità personale come riprovano le numerose aggressioni subite e quindi per il rispetto della legalità, i criminali si fanno una beffa”.
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