Lavoro: ampiezza dell’obbligo di fedeltà del dipendente
Andrea viene licenziato perché, durante il periodo in cui ricopriva la carica di Director Presidente Adjunto presso la Società Alfa, ha condotto delle trattative (poi fallite) finalizzate all’acquisto di una partecipazione al capitale sociale della Società Beta, azienda concorrente operante nel medesimo settore di mercato.
Il lavoratore deve, difatti, astenersi non solo dai comportamenti espressamente vietati dall’art. 2105 cod. civ., ma anche da tutti quelli che – per loro natura e conseguenze – appaiono in contrasto con i doveri connessi all’inserimento del medesimo nella struttura e nell’organizzazione dell’impresa o creano conflitto con le finalità e gli interessi dell’impresa stessa o risultano, comunque, idonei a ledere il presupposto fiduciario del rapporto stesso.
Difatti, la Suprema Corte di Cassazione riconosce al dovere di fedeltà del dipendente “un contenuto più ampio di quello desumibile dall’art. 2105 cod. civ. dovendo tale precetto integrarsi con il principio di correttezza e buona, a tal fine venendo in rilievo anche la mera potenzialità lesiva della condotta”: pertanto, il licenziamento è legittimo (Cassaz. Civile Ord. n. 11172/2022).