Riepiloghiamo i fatti: il 5 giugno del 2014 Rosario Crocetta firmò un accordo con il Ministro dell’Economia Padoan, che impegnava la Regione Siciliana a rinunciare a tutti i contenziosi sollevati presso la Corte Costituzionale e, in ogni caso, a non rendere esecutive eventuali sentenze favorevoli fino all’esercizio finanziario del 2017, in cambio di circa 550 milioni cash che lo Stato avrebbe erogato per consentire di far fronte alle esigenze di liquidità.
Crocetta prese questa decisione in beata solitudine senza informare l’Assemblea regionale, né chiedere un parere ufficiale sulle possibilità di un esito positivo del contenzioso. Circostanza piuttosto strana se si considera che recenti sentenze sembravano supportare le doglianze espresse in relazione a una serie di “scippi” operati dal governo Monti con il decreto “Cresci Italia” del 2011.
Calpestando una serie di articoli dello Statuto Regionale, il Presidente della Bocconi, portato a palazzo Chigi delle lobby economiche che si sono impadronite dell’Unione Europea, sottrasse alla Sicilia introiti per circa 4 miliardi di euro.
Perché Crocetta abbia firmato quella transazione, che riduceva a mezzo miliardo il potenziale credito della Sicilia, non si è mai capito, soprattutto considerando che le sue conoscenze di diritto amministrativo e costituzionale sono nulle e, a giudicare dalla grandinata di bocciature di TAR e CGA negli ultimi due anni, anche i suoi diretti collaboratori non sono messi meglio.
Se volessimo fare della dietrologia potremmo dire che Crocetta, per anni dipendente ENI (non sappiamo se ancora in aspettativa o si sia dimesso) si è trovato in palese conflitto di interessi, perché ha trattato personalmente tutte le questioni attinenti le trivellazioni petrolifere e le relative royalty in cui l’ENI è parte in causa, proprio nel periodo in cui era in corso la trattativa ad ampio raggio con il governo nazionale.
Ma non avendo alcuna prova che ciò abbia influenzato le sue decisioni, alla luce della recente sentenza della Corte Costituzionale sul primo dei ricorsi promosso dalla Regione e vanificato da Crocetta possiamo dire, senza tema di smentita, che la sua decisione fu quanto meno incauta e lesiva degli interessi dei siciliani.
La Suprema Corte ha infatti deciso che il decreto “Cresci Italia” del governo Monti è incostituzionale nella parte che toglieva alla Sicilia l’aumento delle accise su energia e carburanti prodotti nella nostra isola.
Ora premesso che ogni ricorso ha vita autonoma e quindi va esaminato singolarmente, non c’è dubbio che questa sentenza costituisce un precedente favorevole che rende ancora più fondate le ragioni della Sicilia e quindi le prospettive di un esito positivo dei ricorsi abortiti.
Abbiamo detto che Crocetta prese la decisone da solo, ma la responsabilità politica deve essere condivisa con la maggioranza dell’Assemblea Regionale.
Infatti votando l’assestamento di bilancio a luglio 2014, con la risorse erogate dal governo nazionale, il Parlamento siciliano ha di fatto ratificato quell’accordo, rendendosi complice dello scippo ai danni dei cittadini siciliani.
Quindi oggi possiamo dire che Crocetta e tutti quelli che hanno votato l’assestamento del bilancio, possono essere additati all’opinione pubblica come dissipatori di risorse pubbliche con la speranza che la Corte dei Conti valuti l’ipotesi di danno erariale per una decisione priva di basi logiche e giuridiche.
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