La rivoluzione copernicana di Lucia Borsellino

L’Assessore regionale alla Salute Lucia Borsellino è intervenuta ieri all’Ars per relazionare sul “caso Nicole”, la neonata catanese morta per insufficienza respiratoria su un’ambulanza che la stava trasportando a Ragusa, dato che non si era trovato un posto in terapia intensiva pediatrica negli ospedali catanesi.
Ha parlato poco più di un’ora la Borsellino, riconciliandoci (purtroppo solo temporaneamente) con la politica.
Una esposizione completa, coerente, competente di chi sa di cosa sta parlando, con il giusto equilibrio fra la doverosa vicinanza alla famiglia che ha subito la perdita e la ricerca delle responsabilità che inevitabilmente ci sono (e di cui parliamo in altra parte del giornale) per una vicenda che, gestita professionalmente, avrebbe potuto avere una fine meno infausta.
Nulla a che vedere con il pressapochismo e l’improvvisazione che ci hanno propinato in oltre due anni Crocetta e il suo “cerchio tragico”:annunci roboanti seguiti da procedure sballate e provvedimenti privi di ancoraggio normativo, destinati ad essere bocciati dalla giustizia amministrativa o a creare più danno di quanto ne volessero evitare.
Si può discutere sulle singole difficili scelte che la Borsellino ha dovuto fare per attuare la politica dei tagli al budget della Sanità (imposta dall’alto e priva di alternative) ma non sul fatto che l’abbia gestita con competenza e buon senso, merce rara in tutta la politica odierna e rarissima dalle parti di Palazzo d’Orleans. Dove, negli ultimi 15 anni si sono alternati un artista della politica clientelare, in grado di accontentare, a spese della collettività, tutte le esigenze (anche quelle di tanti esponenti dell’opposizione più o meno finta), peraltro condannato in via definitiva per favoreggiamento alla Mafia; un picconatore – accentratore che durante la sua Presidenza ha tentato di far dimenticare il suo modo di fare politica nei trent’anni precedenti (anche lui condannato per concorso esterno in primo grado) e, infine, un sedicente rivoluzionario che, già dal primo atto, ha dimostrato la sua coerenza andando ad omaggiare “posto casa” Mario Ciancio, editore de La Sicilia, manico di tantissimi affari lucrosi ed emblema del vecchio potere, peraltro già sospettato all’epoca di rapporti con la mafia.
La sua coerenza Crocetta ha continuato a mostrarla con gli atti successivi: la finta abolizione delle province che continuiamo ad avere sul groppone, ben più disastrate di come erano lo scorso anno; l’epurazione di qualche dipendente regionale di basso cabotaggio e la conferma di tutti i burocrati protagonisti o complici del saccheggio delle risorse regionali; la distruzione totale della Formazione Professionale, che era effettivamente un carrozzone costruito solo per ottenere consensi e finanziamenti alla politica, ma doveva essere ridimensionato e condotto sulla strada dell’efficienza, non raso al suolo coinvolgendo nelle macerie ottomila famiglie siciliane.
Con la Borsellino almeno, Crocetta ha avuto fortuna: l’ha scelta perché il suo cognome garantiva una “copertura” antimafia e si è trovato una persona seria e competente, come ce ne sono ormai poche ai vertici della pubblica amministrazione, nelle mani degli yes man (o woman) scelti solo per le doti di fedeltà e obbedienza.
Sappiamo per esperienza diretta che, quando fu nominata dirigente dell’Ufficio speciale per l’integrazione socio sanitaria (da Lombardo e Russo), Lucia Borsellino non aveva conoscenza delle tematiche che le erano state affidate, ma passò almeno tre mesi a partecipare alle riunioni di tutti i settori, senza prendere la parola, se non per un saluto formale, riempiendo di appunti un block notes che portava ovunque con sé: fece cioè quello che dovrebbero fare tutti coloro che sono chiamati a responsabilità di vertice. Studiare i problemi prima di proporre soluzioni: una rivoluzione copernicana rispetto a quella del governo Crocetta, che cerca soluzioni senza conoscere i problemi.
Qualcuno ironizza sulle dimissioni annunciate e poi “dimenticate” dalla Borsellino: intanto siamo convinti che il suo abbandono aprirebbe la strada a qualche “pescecane” ben addentro agli interessi più o meno leciti che gravitano nel settore e in più siamo convinti che, se non ci saranno più le condizioni minime di agibilità, la figlia di Paolo saprà lasciare la poltrona.