La rabbia per Giancarlo Lo Porto troppo generoso e coerente per avere padrini
Una delle regole basilari del giornalismo impone di non scrivere in prima persona ed io l’ho sempre rispettata. Ma le circostanze della morte e, soprattutto, del lunghissimo sequestro di Giancarlo Lo Porto mi spingono ad infrangerla per esprimere la mia indignazione verso i meccanismi perversi dell’informazione di questo Paese in pieno degrado morale, culturale, politico e sociale.
Scrivo da circa tre mesi per questo giornale online e non mi sono mai occupato di Giancarlo Lo Porto. Pur nella consapevolezza del trascurabile peso che ciò avrebbe avuto sull’opinione pubblica nazionale, mi sento pienamente corresponsabile dell’oblio e dell’indifferenza a cui il nostro concittadino è stato consegnato da quando a gennaio del 2012, è stato rapito in Pakistan.
Una indifferenza che contrasta con le campagne di stampa, i lenzuoli al balcone e le gigantografie sui monumenti utilizzate in altri casi. Mobilitazioni che hanno spinto il governo a trattare con i rapitori e a pagare consistenti riscatti, anche se mai ammessi ufficialmente. Ma lo sanno in tutto il mondo che una delle poche capacità di intelligence che abbiamo, è quella di andare a scovare i “canali umanitari” che si aprono come il Mar Rosso con Mosè, quando chi li cerca porta valigette contenenti milioni di euro.
E’ stato così con Giuliana Sgrena, la giornalista del Manifesto che chiama i marò prigionieri in India delinquenti, perché percepisce gli uomini in divisa come strumenti dell’imperialismo occidentale, da combattere nei salotti bene; per le giovani Vanessa e Greta, spinte dal fervore per la causa siriana a consegnarsi ai loro rapitori che ce le hanno restituite per la modica somma di quattro milioni; o per il valido collega della Stampa Domenico Quirico, anche lui fortunatamente sottratto ai terroristi tagliagole.
Mentre si svolgevano tutte queste brillanti operazioni, con annesse disfide fra Salvini e Santanchè da un lato e i sostenitori del politicamente corretto dall’altro, se fosse giusto pagare a spese della collettività anche i viaggi di piacere, Giancarlo Lo Porto continuava a rimanere sotto sequestro senza che nessuno si stracciasse le vesti. Sì perché i nostri radical-sinistri difensori del popolo hanno un difettuccio: il popolo lo amano a parole, ma preferiscono di gran lunga i giovani borghesi che fanno la rivoluzione con i soldi del babbo.
Lo Porto era nato a Brancaccio, vissuto a lungo senza il padre che aveva lasciato la famiglia, con un fratello venditore ambulante e gli altri costretti a ricorrere ad espedienti per campare: in un ambiente così difficile aveva trovato la forza di migliorarsi, laurearsi a Londra e diventare project manager. Solo che invece di sfruttare la sua professione a fini economici, come fanno tutti, l’aveva messa al servizio dei più poveri, lavorando per anni in paesi sottosviluppati e vivendo la stessa vita di coloro che voleva aiutare. Come non hanno mai fatto le Boldrini che sproloquiano di accoglienza passando dai salotti marchigiani dell’alta borghesia, agli hotel a 5 stelle riservati ai funzionari dell’ONU, fino al più alto scranno della Camera, corredato di guardie del corpo e uffici stampa chilometrici.
No, Lo Porto non poteva piacere agli italiani delle marce Perugia – Assisi, dell’Antimafia di vetrina, ai vescovi che amano i migranti (talvolta anche troppo come la cronaca tristemente ci racconta) e nemmeno ai furbi delle scorciatoie quotidiane per fregare il prossimo e la collettività.
Troppo coerente e troppo generoso per avere padrini di destra o di sinistra. Il tutto plasticamente illustrato dai quattro gatti che popolavano la seduta del Parlamento a lui dedicata.
Per questo è morto da solo, colpito da un drone che rappresenta bene la società contemporanea occidentale, dove nessuno si sporca le mani direttamente.
Solo anche perchè il suo iniziale compagno di prigionia, il tedesco Bernd Muehlembeck a ottobre del 2014 è stato liberato nel solito blitz, preparato e oliato con un buon lubrificante a base di euro. Perfino la gelida frau Merkel ha aperto il portafoglio per salvare il suo connazionale.
Adesso ci godiamo il solito rituale: le accuse agli yankee che sparano sempre a sproposito, solo un po’ temperate dalla circostanza che il Presidente è un nero democratico e quindi attaccarlo troppo non sta bene (Dio ci salvi se l’ordine lo avesse dato un George Bush padre o figlio) e naturalmente silenzio assoluto sui “patrioti” che per oltre tre anni hanno tenuto prigioniero un uomo che aveva solo il torto di volerli aiutare veramente. Che Paese di m….