Ogni 27 gennaio, dal 2001, in Italia e nel mondo si celebra la giornata in memoria dell’Olocausto, il ricordo dello sterminio del popolo ebraico durante il nazismo.
Chi non rammenta lo stupore durante le lezioni scolastiche nell’apprendere la triste realtà di quel periodo? Milioni di uomini, donne e bambini, deportati nei campi di sterminio e ridotti a bestie, umiliati e uccisi nei modi più atroci. Ma se il nazismo puntava alla purezza della razza ariana, i “bastardi” a dover essere eliminati non erano solo gli ebrei. Migliaia di persone furono deportate a causa della loro etnia, religione, ideologia o orientamento sessuale.
Per questa ragione il 27 gennaio Queer as Unict, gruppo indipendente di studenti universitari LGBT, ricorderà in piazza Università dalle 16 in poi, l’ “Omocausto”, ovvero il massacro di uomini e donne gay e lesbiche durante la seconda guerra mondiale.
Nella Berlino del primo Novecento fiorivano associazioni e locali omosessuali nonostante le leggi che vietavano i rapporti tra persone dello stesso sesso, come il Paragrafo 175; basti pensare che il Wissenschaftlich – humanitäres Komitee, un comitato scientifico umanitario, che lottava per l’abolizione del Paragrafo 175, contava nel 1933 circa 48000 iscritti.
Ma dalla salita di Hitler al poter le pene si inasprirono e la propaganda omosessuale fu costretta a cessare: chiusi tutti i locali e le associazioni, interdetta la stampa gay. Gli omosessuali iniziarono ad essere arrestati e rinchiusi nei lager, contraddistinti da un segno di scherno, un triangolo rosa.
Costretti ai lavori più duri o a sottoporsi a esperimenti che dovevano “guarirli” (come l’impianto di una ghiandola per il rilascio nel corpo di testosterone o la castrazione) la maggior parte di loro non superava il primo anno di deportazione.
Le lesbiche furono, come spesso accade alle donne, sì arrestate ma quasi ignorate. Nella maggior parte dei casi veniva loro assegnato il simbolo di riconoscimento di un’altra categoria, questo perché si reputava avessero minor peso all’interno della società o perché ancora in grado di procreare o, addirittura, perché ovviamente sarebbero ritornate indietro sui loro passi intraprendendo relazioni eterosessuali.
Ci sarebbe molto altro da dire e tanti altri capitoli di riflessione, sulla condizione degli omosessuali e del ruolo della donna nella nostra società, andrebbero aperti. Per questo l’evento di Queer as Unict merita di essere partecipato, per tuffarsi nel passato e scoprirlo con nuovi occhi, dare uno sguardo al presente e pensare al futuro.
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