La buona scuola: passa l’articolo che dà ai presidi il potere di scelta
Nella seconda giornata di votazioni sugli emendamenti al ddl di riforma della scuola in aula alla Camera, la maggioranza regge, anche con l’appoggio di Forza Italia, bocciando le principali richieste di modifica della minoranza dem. Alla fine viene approvato con 214 voti a favore e 100 contrari (11 gli astenuti) l’articolo 9 del provvedimento, quello che definisce i nuovi poteri del preside. I malumori nella minoranza dem restano ma non incidono: come annuncia in aula Carlo Galli – uno di quelli che non parteciparono al voto sulla fiducia all’Italicum – la minoranza decide di non partecipare al voto sui poteri del preside. Nella discussione il potere dei presidi è un punto “decisivo”. Per Sel, Movimento cinque stelle e anche per gli esponenti della maggioranza più critici verso la riforma come Stefano Fassina che vorrebbero abolire la facoltà del preside di chiamare direttamente i docenti a insegnare. Ma la richiesta della minoranza dem raccoglie 84 voti, compresi quelli di Sel e M5S, contro 276 contrari. Bocciato anche un altro emendamento di Area riformista. Accolto, invece, un emendamento del Movimento cinque stelle che vuole scongiurare su questo terreno il conflitto di interessi: il preside non potrà chiamare a insegnare prof-parenti.
Ma sostanzialmente il testo resta quello uscito dalla commissione Cultura e già si intravede la fine: mercoledì, esaurito l’esame dei 27 articoli del provvedimento, il ddl sarà licenziato.
La minoranza dem dovrebbe riunirsi domani sera per confrontarsi su quale linea tenere sul voto finale. Fassina, già con un piede fuori dal partito, ha annunciato che se la riforma resterà così com’è lui potrebbe non votarla. Poi la partita si sposterà al Senato dove peraltro i dissidenti dem hanno ben altri numeri e dove la battaglia oltre che “di merito” sugli aspetti più contestati della riforma potrebbe diventare politica.
Intanto non sono mancati alcuni momenti di tensione nell’emiciclo tra esponenti della maggioranza e Movimento cinque stelle (con Silvia Chimenti che ha accusato la maggioranza dem di “voler compiacere il capo”) e verso il ministro della Pubblica Istruzione Stefania Giannini presente in aula. Attacco giunto da Fassina che ne ha chiesto le dimissioni e a cui si è unito Arturo Scotto, capogruppo di Sel: “Ministro faccia un favore alla scuola pubblica, si dimetta”. La Giannini non ha replicato in aula ma con un tweet in puro stile renziano ha plaudito all’approvazione dell’articolo 9: “Non ci sarà nessun preside-padrone ma un dirigente responsabile e valutato”. Fuori da Montecitorio il sit-in di protesta di sindacati e rappresentanti del mondo della scuola che accompagnerà l’iter del provvedimento fino a dopo domani.