In tutte le attività umane, dalle più umili alle più gratificanti e prestigiose, c’è evidente, non sottotraccia, una buona dose di “idealismo” nobile e generoso che, purtroppo, non tiene sempre conto della realtà e di quelle situazioni negative determinate da spinte dannose e pericolose. La pratica dell’idealismo, in tutto (guai se non ci fosse), è legittima e trova approvazione, ma con una necessaria limitazione in campo politico perché: nell’interesse del Paese all’idealismo è necessario dare un supporto pragmatico con una buona dose di prevalenza sui principi ideali. Purtroppo in politica questa pratica mediatrice fra le due esigenze è spesso disattesa con conseguenze disastrose.
Sempre per mancato senso pragmatico, dai dati del 2013, che sono la “cartina di tornasole” dell’incapacità della politica ad attuare le riforme per ammodernare il Paese per renderlo competitivo, si evince che nel contesto europeo l’Italia è l’unico Paese che non ha avuto crescita e che il PIL ha subìto una ulteriore contrazione dell’1,8 %. Fra i paese del G7 dei quali fa parte, è l’unico con mancato progresso e questo dato negativo potrà compromettere il mantenimento della soglia del 3 % del deficit imposto dalla UE.
Gli effetti della crisi hanno creato un enorme disagio sociale; migliaia di aziende hanno chiuso i battenti; milioni di disoccupati con la maggiore percentuale di giovani; miliardi di ore di cassa integrazione, migliaia di esodati e di partite IVA chiuse. Le responsabilità di questo disastro che ha travolto le speranze di tutti, sopratutto dei giovani, sono imputabili alla politica che ha mancato l’aggancio con le possibilità della ripresa economica. Per i comportamenti di chi gestisce la politica, gli interessi della comunità sono un “optional” di trascurabile importanza; questo modus operandi ha determinato l’inevitabile scollamento tra politica ed elettori che già si configura attorno al 50% con possibilità di ulteriore peggioramento. I disertori delle urne sono motivati da sentimenti di nausea nei confronti della classe politica che è particolarmente privilegiata con agevolazioni straordinarie, inaccessibili per altre categorie, e tuttavia non ottempera al corretto e dovuto impegno nei confronti del mandato popolare, perché subisce, passivamente, le direttive delle segreterie politiche e, ancora peggio, di quelle dei capi corrente dei partiti.
Chi pratica l’astensionismo lo fa obtorto collo, per protesta, pur avendo consapevolezza di delegare ad altri la possibilità di decidere le sorti del suo futuro. L’astensionista ha una sorta di “rigetto” nei confronti della politica che sente come “corpo estraneo” nella propria sfera collettiva, e che come tale, va rimosso perché metastatico. Per fare rientrare gli astensionisti dalla capacità di esercitare questo sacrosanto diritto, c’è da fare una sola e decisiva azione che può essere risolutiva del problema: presentare un emendamento sulla legge elettorale che è già alla Camera, mirato a ristabilire, per l’elettore, il diritto alla preferenza gestito, finora, dalle segreterie politiche.
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