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Italia: si può vincere la crisi.

Palermo 14 nov 2014. E’ difficile, se non impossibile, entrare nel coacervo delle logiche comportamentali e decisionali che attengono alla politica italiana. Non si tratta di logiche filosofiche e molto complesse come quelle di Hobbes, Cartesio e Bacone; ma di quelle semplici, facilmente gestibili, e che regolano argomentazioni corrette sul piano della compatibilità con i gravi problemi che affliggono il paese.

Una nazione che da tre anni è in recessione e che è afflitta da: Pil sempre in negativo; ultimo dato della produzione industriale -2.9 %; un enorme debito pubblico e milioni di disoccupati; questi e tanti altri fattori che concorrono al possibile “default” del paese, dovrebbero indurre la classe politica, tutta, a una momentanea sospensione delle loro ideologie per dare, al paese, una necessaria svolta mirata alla ripresa che dipende, soprattutto, dalla realizzazione di tutte le riforme istituzionali e costituzionali per ammodernarlo e renderlo adeguato alle esigenze della competitività, che è fondamentale nella globalizzazione che rende interdipendenti, tra loro, tutti i paesi industrializzati.

Un elefante che si muove in un negozio di cristalleria crea inevitabili danni. Prendendo come metafora l’elefante si può affermare che la politica, nel contesto della drammatica situazione nella quale versa il paese, si muove allo stesso modo creando seri danni. La classe politica, non solo non ha preso coscienza della situazione, ma con discutibile quanto deprecabile nonchalance continua, imperterrita, a privilegiare: la difesa e la tutela delle posizioni ideologiche, dei privilegi e delle caste.

Su questi modelli di comportamento (sui quali si può indulgere con situazioni normali e non emergenziali) la politica dovrebbe operare revisioni e modifiche per creare le condizioni indispensabili per creare una identità di vedute che possa rispondere a logiche di convergenze su tutti i rimedi da mettere in atto per fare uscire il paese dalla crisi. Ci vuole un’area creativa per un quadro di conformità di idee e di azioni che vadano oltre gli “interessi di bottega” che sono ostativi alla collegialità decisionale per risolvere i gravi problemi.

Questa sarebbe la risposta credibile ed esaustiva più confacente alla gravità della situazione e che potrebbe, nel contempo, creare le condizioni per un riavvicinamento della collettività alla politica. Se si è perfettamente convinti di questa ineluttabile necessità, si è altrettanto convinti che questa legittima aspirazione è solo: utopistica !

Ettore Vinciguerra

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