De Gaulle e Mussolini, con spirito profetico, senza ricorso a pratiche occulte, ma con il supporto di personali esperienze vissute nel corso dell’espletamento del ruolo di capi di stato (denso di luci e di ombre) formularono, in tempi non sospetti e remoti, indipendentemente l’uno dall’altro, due lapidarie frasi, passate alla storia, che convergono in unico concetto, non esaltante, ma dileggiativo e severo nei confronti dell’Italia. Mussolini disse: “non è difficile governare l’Italia, ma è inutile governarla” ! Dopo tanti anni De Gaulle incalzò con una frase ancora più pesante: “l’Italia non è un paese povero, ma un povero paese” !
Dopo tanto tempo, per la situazione “Kafkiana” nella quale si trova il nostro paese, bisogna riconoscere che il vaticinio dei due statisti si è avverato. Infatti, dopo lo spiraglio di benessere degli anni settanta, chiamato “boom economico”, non tardò la ripresa del processo di marcescibilità e di degrado dei vitali comparti del paese, con in testa quello produttivo. In parallelo al processo involutivo ne è sorto un altro, ben più grave e di difficile reversibilità, che è: una modificazione antropologica che attiene al profilo caratteriale e comportamentale delle persone sul piano morale, sociale e dell’nterattività.
Ed allora, anche se questi motivi legittimano, l’ipotesi del concorso collettivo sulle responsabilità di tanto disastro; è fuori da ogni ragionevole dubbio il fatto che, in questo contesto, vanno perimetrali i limiti delle aree di responsabilità di chi ha contribuito, in maggiore misura, al default del paese. Non ci vuole acribatismo mentale, né sforzi eccessivi, per individuare nella politica la maggiore responsabile, senza attenuanti, del degrado economico che, con i suoi devastanti effetti, ha condizionato il quadro sociale, morale e comportamentale di tutti.
Con questa affermazione non si vuole esercitare facile e gratuito giustizialismo, ma si vuole attribuire alla politica, con obiettività e senza pregiudizi ideologici, la dose di apporto contributivo al “vulnus” dei valori migliori che non sono da frustrare, ma da tutelare perché: patrimonio culturale e civile.
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