Hanno lo stesso nome, ma non sono parenti. Entrambi hanno un ruolo di comando. Uno è etiope, l’altro eritreo. Uno vive e opera in Libia ed è ricercato dalle polizie di mezzo mondo, l’altro, fermato, a Civitavecchia, mentre tentava la fuga verso la Germania, è in un carcere italiano. Si chiamano Ermias Ghermay e Asghedom Ghermay e sono gli uomini che gestiscono il traffico di essere umani dall’Africa alle coste italiane
Ermias lo descrivono “basso e robusto”: i profughi lo hanno visto dare ordini dalla fattoria nei pressi di Tripoli dove, prigionieri e sorvegliati da miliziani armati, attendono di prendere il mare per raggiungere le coste siciliane. Asghedom sta a Catania e si occupa della seconda fase del viaggio dei disperati: li aiuta a lasciare i centri di accoglienza e trova loro alloggi clandestini in attesa di metterli in pullman per il nord Europa, meta finale del loro viaggio.
In una intercettazione Ermias descrive i barconi stipati di profughi fino all’inverosimile. A ogni migrante dà un numero, una sorta di codice che comunica ai cassieri dell’organizzazione per tenere la contabilità dei pagamenti versati per ogni fase del viaggio. Sotto di sé ha decine di persone. Tiene i contatti con l’Italia attraverso il suo omonimo.
Anche l’altra tragedia nei pressi di Lampedusa che causò 366 vittime porta la sua firma:gli inquirenti hanno contato almeno 15 viaggi verso la Sicilia organizzati da lui: 5mila persone in meno di un anno.
Ermias abita nel quartiere di Abu Sa’ a Tripoli, si sposta spesso nei porti di Zuwara, Zawia, Garabulli e gestisce una fattoria dove nasconde fino a 600 migranti. Al telefono parla di contatti con la “polizia libica” e di un “capo” che viaggia spesso in Arabia Saudita.
“Quando i viaggi li organizzo io, i viaggiatori partono tutti. Se non riesco ad imbarcarli in un viaggio ce ne sarà un altro pronto a partire l’indomani o tra qualche ora”, si vanta al telefono.
Asghedom ha apparentemente un ruolo più defilato. Cura gli aspetti logistici della permanenza in Italia dei disperati ed è a capo della cellula italiana dell’organizzazione. Ha una complice donna che fa parte della comunità eritrea catanese. E’ lei che l’aiuta a rintracciare gli extracomunitari giunti in Sicilia e diretti nel Nord Europa. Può contare su connivenze e coperture nel Cara di Mineo e nel centro di accoglienza di Siculiana. “Ho tanti soldi in banca – dice non sapendo di essere intercettato – ma per ora non li tocco”.
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