Marina Rizza, il Gup di Catania, scrive nelle motivazioni della sentenza che Raffaele Lombardo ha “sollecitato, direttamente o indirettamente, i vertici di Cosa nostra a reperire voti per lui e per il partito per cui militava (le regionali in Sicilia del 2001 e nel 2008 e le provinciali a Enna nel 2003) ingenerando nei medesimi il convincimento sulla sua disponibilità a assecondare la consorteria mafiosa nel controllo di concessioni, autorizzazioni, appalti e servizi pubblici”. La sentenza che riporta la data del 19 febbraio, a conclusione di un processo col rito abbreviato condizionato, ha condannato l’ex presidente della Regione Siciliana a 6 anni e 8 mesi di reclusione per concorso esterno all’associazione mafiosa. Il documento, 325 pagine, è stato depositato il 18 agosto.
Il Gup di Catania dichiara “provato” che Lombardo abbia “contribuito sistematicamente e consapevolmente”, anche grazie a “le relazioni derivanti dalla sua pregressa militanza in più partiti politici”, alle “attività e al raggiungimento degli scopi criminali dell’associazione mafiosa” con le finalità di “controllo di appalti e servizi pubblici”. Ma “il contributo più rilevante, concreto e effettivo prestato dal Lombardo all’associazione Santapaola-Ercolano” secondo il Giudice, “a ben vedere, consiste nella creazione” di un “complesso sistema organizzativo ed operativo di cui facevano parte, quali componenti parimenti necessari, gli imprenditori ‘amici’ e gli esponenti della ‘famiglia’, creando vantaggi di cui beneficiava anche l’associazione mafiosa”. Le modalità, ritiene il Gup, erano sempre le stesse “acquistavano terreni agricoli nella prospettiva di ottenerne la variazione di destinazione urbanistica, e poi realizzare elevati guadagni con la plusvalenza” della proprietà. Il Giudice porta l’esempio di quattro operazioni: il progetto di costruzione di alloggi per militari Usa di contrada Xirumi, non realizzato, e tre centri commerciali, dei quali uno solo è stato costruito.
In questo ‘contesto’ il Gup Marina Rizza porta ad esempio il caso, con fascicolo ancora pendente, di Mario Ciancio, editore e componente del Cda dell’Ansa, estraneo al procedimento, indagato per concorso esterno all’associazione mafiosa, per il quale la Procura ha chiesto per due volte l’archiviazione. Nella sentenza il Gup rimanda alla Procura alcuni degli atti che l’ufficio aveva allegato al processo Lombardo. Secondo il Gup il progetto di due affari trattati anche dall’editore “annoverava tra i soci un soggetto vicino a Cosa nostra palermitana”. Le stesse modalità e la presenza di elementi vicini alla mafia, osserva il giudice, fanno ritenere “con un elevato coefficiente di probabilità che lo stesso Ciancio fosse soggetto assai vicino al sodalizio” e avrebbe quindi “apportato un contributo concreto, effettivo e duraturo alla ‘famiglia’ catanese”.
L’editore replica sottolineando di essere in “possesso dei terreni da oltre quarant’anni, circostanza che – sottolinea – confligge con l’ipotesi di acquisti effettuati per lucrare lauti guadagni in combutta con ambienti mafiosi”. “Non intendo subire, però – aggiunge – alcuna condanna senza giudizio e sono indignato per essere stato indicato come persona vicina ad ambienti mafiosi”.
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