Mentre i soci della Gesap, in vista dell’assemblea del 12 marzo, hanno fatto il gioco delle tre scimmiette (non vedo, non sento, non parlo) confermando tutti i componenti del CdA e il Consiglio della Camera di Commercio si è arroccato a difesa delle poltrone, la magistratura dipinge un quadro fosco degli appalti della società che gestisce l’aeroporto di Punta Raisi.
Nell’inchiesta precedente al clamoroso arresto di Roberto Helg, pescato in flagrante mazzetta, si allarga da quattro a quattordici il numero degli indagati: per quanto riguarda il management il direttore generale Carmelo Scelta, in odore di sospensione e il dirigente Massimo Abbate, mentre sono state stralciate le posizioni dell’ex Presidente Giacomo Terranova e dell’altro dirigente Vincenzo Petrigni.
Poi c’è una lunga lista di imprenditori provenienti da tutta Italia accusati di associazione per delinquere perché avrebbero pilotato gli appalti per lavori e servizi, mentre al catanese Filippo Capuano, titolare di una società di servizi e a Carmelo Scelta viene contestata la corruzione.
Poi c’è il troncone di attualità che riguarda Roberto Helg: il Giudice per le indagini preliminari, nel concedere gli arresti domiciliari ha tratteggiato uno scenario molto pesante della condotta del vice Presidente Gesap definito cinico e spregiudicato “nel pianificare e portare a compimento una gravissima azione delittuosa in danno di un amico, per di più approfittando di una momentanea condizione di difficoltà di quest’ultimo”.
Ma la parte più significativa riguarda il contesto in cui è maturata la richiesta estorsiva: nel colloquio registrato con Santi Palazzolo Helg ha fatto uno specifico riferimento ad altri tre soggetti che, con i 50 mila euro in contanti non avrebbero potuto fare obiezioni al rinnovo del contratto, in quanto in altre occasioni avevano “manipolato” loro gli appalti senza che lui avesse avuto da ridire.
Nell’interrogatorio l’anziano imprenditore ha sostenuto ostinatamente che si trattava di millanterie per giustificare una richiesta così alta, ma gli inquirenti sono convinti che, da solo, non avrebbe potuto garantire l’approvazione di un contratto sottodimensionato rispetto alla media.
Insomma c’è un sospetto più che fondato che Helg non fosse una scheggia impazzita, ma la rotella di un ingranaggio ben oleato che sfornava appalti “su misura”.
Eppure tutto questo non basta per convincere i componenti del consiglio di amministrazione a dare le dimissioni, per diradare ogni dubbio e scindere le proprie responsabilità da chi avrebbe messo in piedi la pianificazione “concertata” degli appalti.
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