I sentimenti contrastanti per il dolore del papà di Aldo Naro

La morte di Aldo Naro il giovane appena laureato a pieni voti in Medicina, per una futile rissa all’interno della discoteca Goa, ha provocato un’onda di emozione generale. Nei ragazzi, che hanno constatato quanti pericoli si annidano anche nelle semplici attività quotidiane e agli adulti, consapevoli che l’affetto e i sacrifici di una vita, possono essere cancellati da un momento all’altro, senza una ragione cui ci si possa appigliare per elaborare il lutto.
Abbiamo provato tutti un senso di ribellione, pur non essendo direttamente coinvolti, immaginando la nostra reazione qualora, malauguratamente, fosse capitata a noi una tragedia simile.
Pena di morte, torture indicibili, sofferenza per le famiglie degli assassini: sentimenti abnormi che poi sfumano quando vedi il colpevole, un ragazzotto ignorante di 17 anni, inconsapevole strumento di morte.
Il padre di Aldo Naro è un alto ufficiale dei Carabinieri, uno dei tanti responsabili della sicurezza dei cittadini, cui è toccato in sorte di sperimentare sulla carne viva, gli effetti della violenza che attraverso la società.
Eppure quando ho sentito la sua intervista il giorno dopo la morte del figlio, ho provato quasi un senso di fastidio nel constatare la sua pacatezza, quasi il distacco, nel commentare l’accaduto, traendone una sorta di morale universale che valesse come insegnamento per gli altri genitori, per i ragazzi ed anche per gli assassini.
Lo stesso atteggiamento tenuto ieri all’uscita della messa in ricordo di Aldo, ad un mese dalla sua morte.
In lui convivono due grandi sentimenti: la fede religiosa per cui tutto assume un significato nella volontà divina e la fede nel suo mestiere, forse meglio dire missione, di uomo delle istituzioni che non può deflettere dai suoi ideali, nemmeno nel momento più tremendo della sua esistenza. Non so se invidiarlo o compiangerlo.