Un paese come il nostro, dove è difficile fare le cose più semplici e molto facile non farle, la notizia della chiusura del cerchio, in tempi più brevi del previsto, come l’acquisizione da parte di Fiat del rimanente 51% di Chrysler, oltre che a premiare Sergio Marchionne per la grande determinazione e l’ammirevole professionalità manageriale e per avere ideato e gestito l’operazione di fusione tra i due gruppi, ha il sapore di “riscatto” agli occhi di tutto il mondo. Con la fusione Fiat – Chrysler nasce un nuovo colosso automobilistico capace di competere con Toyota, General Motors e Volkswagen sul piano della produttività e la conseguente competitività sul mercato mondiale. Cinque anni di sofferenze del mercato dell’auto; la chiusura di alcune fabbriche e la delocalizzazione di alcune in Paesi con costo del lavoro più basso, hanno alimentato il legittimo scetticismo di autorevoli economisti e tuttologi che hanno tacciato Marchionne di eccesso di velleitarismo e di vanità imprenditoriale per l’impresa, non facile, di trasformare due gruppi deboli, in grave crisi, in uno forte in grado di contrastarla.
La complessità della fusione, nelle sue articolazioni, ha avuto in Marchionne l’uomo con capacità di risorse creative, intellettive e imprenditoriali di altissimo profilo che gli hanno consentito di creare un “effetto domino” con tutte quelle tessere capaci di concorrere, con interattività, alla formazione delle condizioni favorevoli per l’avveramento e la conclusione positiva dell’ambizioso programma. Fatti salvi l’impegno e le indiscusse capacità manageriali, oltre ai meriti che rientrano nella sfera della genialità e delle non comuni facoltà intuitive, è fuori da ogni ragionevole dubbio che Marchionne ha avuto la percezione delle “positive chanche” di successo per il suo progetto perchè, in America, oltre alla maggiore flessibilità del lavoro, rispetto alle altre nazioni, c’è un sindacalismo che, oltre a non essere frontista e fazioso, è propenso a tutelare, nell’esercizio del suo delicato ruolo, gli interessi dei lavoratori e quelli dell’azienda. Queste favorevoli condizioni sul piano sindacale, e quelle ancor più favorevoli su quello burocratico, hanno impresso una forte accelerazione alla trattativa con il risultato a tutti noto.
Ora, spenti i riflettori sull’accordo e sul suo consolidamento (con la consegna alle discipline che studiano le attività economiche) c’è da chiedersi: Chrysler diventerà italiana con Fiat, o Fiat diventerà americana con Chrysler? La risposta a questa legittima domanda non è facile perchè, come è a tutti noto, nel nostro Paese è difficile fare impresa per i seguenti motivi: alto costo del lavoro e resa molto bassa; burocrazia molto complessa con barricate, pastoie e con pretesti speciosi che ostacolano la speditezza nell’iter delle pratiche; e come se questo non bastasse, bisogna tenere in buon conto che tra Marchionne e i sindacati, in particolare con quello Fiom, non c’è un buon rapporto.
Dopo quanto detto, che rappresenta una situazione di fatto che perdura da tempo, c’è da augurarsi che tra le parti interessati si possa creare un ammorbidimento delle posizioni per predisporre il terreno favorevole al nuovo gruppo per svolgere con serenità la sua attività nell’interesse dell’Italia e dell’America.
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