MILANO (ITALPRESS) – Il ponte che da un anno sovrasta la valle del Polcevera è il prodotto di un lavoro corale, al quale hanno partecipato non solo i mille ingegneri, tecnici, operai che in poco più di dodici mesi hanno portato a termine l’opera, ma anche la filiera delle aziende fornitrici di Webuild e Fincantieri. Sono eccellenze provenienti da tutta Italia che hanno dato il loro contributo per la realizzazione del “vascello bianco” firmato dall’architetto Renzo Piano che unisce i nomi di Genova e di San Giorgio.
Sono state coinvolte 330 imprese di grandi, medie e piccole dimensioni che hanno lavorato alla costruzione del ponte contribuendo ad una considerevole creazione di valore. La quasi totalità, oltre il 99%, è costituita da imprese italiane specializzate nei lavori più disparati, dalla bonifica degli ordigni bellici, alla predisposizione delle fondamenta, dalla posa degli impalcati alle analisi nella galleria del vento, dalla produzione dei pannelli fotovoltaici alla fornitura dell’acciaio.
E’ stato un contributo prezioso all’impegno del Gruppo Webuild, che insieme a Fincantieri ha realizzato l’opera riuscendo a creare una sinergia positiva tra tutte le aziende coinvolte e attivando un processo di lavorazioni parallele che hanno permesso di consegnare il ponte in tempi da record.
Tra i fornitori e subfornitori tutte le regioni italiane sono state rappresentate: dal Trentino alla Sicilia, dalla Lombardia alla Puglia. Sole eccezioni una ditta turca e una tedesca. Inoltre 54 aziende su 330 vengono direttamente da Genova e dalla Liguria, a conferma di come le eccellenze tecniche di questo territorio siano state messe a disposizione nella realizzazione dell’opera.
Nell’insieme, il valore delle forniture del ponte è pari a 160 milioni di euro, circa l’80% del valore complessivo della commessa, un dato che dimostra anche il peso economico riconosciuto alle aziende che hanno contribuito a dare vita all’opera.
Come racconta Maurizio Ruggieri, uno dei direttori tecnici e soci della Faver, azienda di Bari che ha realizzato i pennoni alti 28 metri, simili agli alberi di una nave, che illuminano la scenografia del ponte, “tutto è iniziato con un disegno e da lì, insieme al project manager del ponte abbiamo lavorato alla realizzazione. A vederli realizzati, l’impressione è quella di avere di fronte degli spilli affusolati, con due punti luce. Il primo a 14 metri, dove sono posizionate le lampade progettate appositamente dalla Guzzini. Il secondo in testa, a 28 metri, servirà al segnalamento per gli aerei”.
I pennoni partono infatti da un diametro di 50 centimetri che man mano si riduce fino a diventare di 7 centimetri sulla sommità. Per realizzarli la tecnica è stata quella di assemblare una dopo l’altra 13 sezioni di tubi e ogni sezione è stata lavorata meccanicamente con un tornio affinché raggiungesse il giusto grado di conicità. Una volta assemblati, i coni hanno dato forma al pennone che è stato poi lavorato molando a zero tutte le saldature, in modo che apparisse come un pezzo unico, dalla base alla testa.
“Per realizzarli – racconta ancora Maurizio Ruggeri – ci sono voluti quattro mesi di lavoro, con ritmi strettissimi per assicurare la consegna nei tempi richiesti. Abbiamo lavorato anche durante le settimane del lockdown, grazie a un’autorizzazione della Prefettura che ci ha permesso di operare in totale sicurezza per le nostre persone”.
Dalla cima del ponte alla base, il lavoro è tessuto di eccellenza e passione. Fondamenta è l’azienda che ha realizzato le basi nel terreno su cui si regge l’intera struttura. Sono decine di giganti di cemento, alti 50 metri e con un diametro di 1,5 metri ciascuno che si sviluppano interamente nel sottosuolo.
“A Genova – spiega Paolo Muneretto, ingegnere, socio e consigliere di amministrazione della Fondamenta – siamo stati incaricati di portare a termine 14 interventi di fondazione, 9 sul lato di Ponente, 4 sul lato di Levante e uno sulla spalla di Ponente”.
Per realizzarli sono state utilizzate macchine estremamente innovative e di grande potenza che superano le 100 tonnellate di peso, si muovono con cingoli e hanno un braccio verticale che si alza per oltre 30 metri e sul quale viene posizionata l’asta di perforazione che entra nel terreno. Al termine della perforazione viene incastrata ai bordi del buco profondo 50 metri una gabbia dentro la quale viene colato il calcestruzzo che darà poi vita al palo di fondazione. La parte superiore del palo, quella che fuoriesce dal terreno, viene poi annegata all’interno del grande plinto di fondazione della pila.
“Tutti i carichi del ponte – commenta l’ingegnere Muneretto – dal peso stesso del ponte a quello delle automobili che lo attraversano, vengono scaricati prima sulle pile, da lì sul grande plinto di fondazione che a sua volta li trasferisce nei pali interrati”.
Come Faver e Fondamenta tantissime altre aziende hanno dato un contributo specifico a quest’opera. Le Acciaierie Valbruna, un’eccellenza italiana nella produzione di acciai speciali in attività dal 1925; la Bosco Italia, che si è occupata dei pannelli fotovoltaici, essenziali per rendere il ponte autonomo dal punto di vista energetico, così come i pannelli di protezione in vetro; o ancora la Akron e la Geoinvest, specializzate nel campo della geofisica e incaricate di parte delle indagini del sottosuolo.
I profili delle imprese e delle istituzioni che hanno fatto il ponte raccontano una storia per molti versi sconosciuta. Per esempio la Drafinsub, chiamata per la bonifica degli ordigni bellici, un’operazione necessaria prima della costruzione di qualunque infrastruttura. E ancora del Politecnico di Milano, dove sono state realizzate le prove nella galleria del vento sul plastico del ponte. Una varietà di esperienze ed eccellenze che raccontano anche molto del mondo produttivo del paese.
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