Festa di Sant’Agata: “Semu tutti devoti?”
E’ la terza festa religiosa più importante del mondo dopo la Settimana Santa di Siviglia e la solennità del Corpus Domini di Guzco in Perù. Attira una moltitudine di persone da ogni parte del pianeta ed è un Bene Etno Antropologico Patrimonio dell’Umanità. Stiamo ovviamente parlando delle celebrazioni di Sant’Agata, martire catanese vissuta nel terzo secolo e simbolo della metropoli etnia.
I festeggiamenti, che i catanesi aspettano tutto l’anno, hanno avuto inizio il 3 febbraio con la processione dell’offerta della cera, avviata dall’uscita trionfale da Palazzo degli Elefanti della settecentesca carrozza del Senato tirata da quattro cavalli banchi, e sono proseguiti in serata con i fuochi pirotecnici e il tradizionale concerto in piazza Duomo, visibile anche attraverso i maxi schermi allestiti in piazza Università e davanti a Palazzo dei Chierici. Ma è all’alba del 4 febbraio che la “santuzza” torna in mezzo ai suoi fedeli, salutata fin dall’uscita dal sacello con canti e con il festoso agitarsi dei fazzoletti bianchi dalla folla che gremiva la Cattedrale per la Messa dell’Aurora. Ha iniziato la processione lungo il percorso del giro esterno, “ospitata” dalla preziosa “vara”, cioè dal fercolo che trasporta il busto e lo scrigno con le reliquie della martire. In argento massiccio e addobbato con una miriade di garofani rosa durante il giro esterno di giorno 4, e bianchi per la processione del giorno 5, data del martirio, è tirato tramite un cordone da una moltitudine di fedeli vestiti col “saccu”, il saio bianco, la “scuzzetta”, copricapo di velluto nero, e con guanti bianchi e cordone intorno alla vita in segno di devozione.
All’interno della vara, lo scrigno contiene le braccia, le mani, le gambe, i piedi, i femori e la mammella della Santa, oltre al velo rosso. Il busto reliquiario contiene invece il teschio e la cassa toracica, rivestiti da un “involucro” d’argento, opera trecentesca dell’orafo senese Giovanni Di Bartolo, impreziosito ulteriormente da vari gioielli donati nel corso del tempo, tra cui il collare della Legion d’Onore francese di Vincenzo Bellini.
A precedere la processione le “cannalore”, cioè i dodici cerei (grosse costruzioni somiglianti a carri, pur senza ruote) portati a spalla da gruppi di uomini dalla caratteristica andatura chiamata “a ‘nnacata”. Sono strutture in legno riccamente decorate, contenenti al centro un grosso cero che arriva a sfiorare in qualche caso il peso di una tonnellata, che rappresentano le corporazioni delle arti e dei mestieri della città.
Devoti, turisti e curiosi affollano le strade per poter vedere, anche solo per pochi momenti, “Sant’Aituzza bedda” da vicino. Molti sono coloro che in segno di riconoscenza per una grazia ricevuta, o come voto per una richiesta fatta con devozione, portano in dono i cosiddetti “turciuni”, cioè candele di cera realizzate manualmente spesso così grandi da arrivare a pesare anche più di 100 Kg. Tutto questo sebbene, tramite apposita ordinanza comunale, sia «fatto a chiunque divieto di accendere ceri e trasportarli durante i giorni di svolgimento della festa, 3, 4, 5 e 6 febbraio».
Anche la gastronomia fa la sua parte in questo spettacolo di colori e tradizioni: dolci tipici di questa festa sono i “cassateddi di Sant’Aita”, dette anche “minnuzze di Sant’Agata”, in riferimento alle mammelle strappate alla Santa durante i martirii a cui venne sottoposta per obbligarla ad abiurare la propria fede. E ancora il torrone e le olivette, in ricordo della leggenda secondo cui fu un albero di ulivo sorto improvvisamente a nascondere la vergine Agata ricercata dai soldati del console romano Quinziano.
Il giorno del martirio la festa riprende con il solenne Pontificale in Cattedrale alle ore 9, presieduto quest’anno dal cardinale Angelo Bagnasco, Arcivescovo Metropolita di Genova e Presidente della Cei. Nel pomeriggio, verso le diciotto, ha inizio il giro interno che percorre la via Etnea fino al Giardino Bellini, per deviare poi in via Caronda, fino ad arrivare in piazza Cavour dove, davanti alla Chiesa di Sant’Agata al Borgo, ha luogo uno spettacolo pirotecnico. Dopo la discesa in via Etnea, una dei momenti più attesi è a cchianata ‘i Sangiulianu, percorsa velocemente, ma non più di corsa a causa dell’incidente in cui perse la vita un giovane qualche anno addietro. In via dei Crociferi viene effettuata l’ultima sosta davanti al convento delle suore benedettine che, da dietro i cancelli del sagrato del loro monastero, intonano dei canti alla Santa. Alle prime luci del mattino del 6 febbraio, e spesso anche più tardi, la martire fa infine rientro in Cattedrale, salutata da un nutrito spettacolo pirotecnico e dall’affetto dei catanesi.