“Favorì Cosa nostra”. Chiesti 9 anni per l’ex generale Mori

PALERMO – Nove anni di reclusione e’ la pena chiesta dal Pm Nino Di Matteo per l’ex comandante del Ros dei carabinieri Mario Mori, imputato di favoreggiamento aggravato alla mafia sulla mancata cattura del boss corleonese Bernardo Provenzano nel 1995. Per l’altro imputato, il colonnello Mauro Obinu, il Pm ha proposto la condanna a 6 anni. Di Matteo ha chiesto anche l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Entrambi gli imputati non erano presenti in aula.

“Non importa la finalità di Mori e Obinu: non hanno aiutato Provenzano perché collusi o intimoriti da Cosa Nostra, ma per una scelta sciagurata di politica criminale, e cioè la prosecuzione della latitanza di Provenzano. Allo stesso modo il governo e il Dap assecondano il dialogo agendo in questa ottica di trattativa”. Lo ha sostenuto il Pm Nino Di Matteo, nella requisitoria al processo.

Di Matteo ha citato un’intervista del 12 dicembre del 1992 di Nicola Mancino, all’epoca ministro dell’Interno, che adombrava la possibilità dell’esistenza, in seno a Cosa Nostra, di due correnti: una di falchi che faceva capo a Toto’ Riina e una di colombe che aveva in Bernardo Provenzano il punto di riferimento. Il Pm ha ricordato anche una lettera firmata il 17 febbraio del 1993 dai familiari di diversi mafiosi detenuti che chiedevano un alleggerimento del regime di reclusione all’Asinara e a Pianosa, e provvedimenti di vario segno, tra cui un appunto di Nicolo’ Amato del 6 marzo del ’93 in cui l’allora capo del Dap parlava di perplessità del capo della polizia Parisi sul 41 bis e di pressioni di Mancino per la revoca.

“Mori e Obinu hanno tradito la fedeltà giurata alla Costituzione, alle leggi e all’Arma dei carabinieri” ha detto Di Matteo nel concludere la sua requisitoria. Il Pm ha sostenuto che “c’e’ stato anche il rischio, strumentalmente alimentato dall’esterno, che questo processo fosse contro tutto il Ros, tutta l’Arma e tutti i servizi” ma, ha puntualizzato Di Matteo, “non abbiamo neanche voluto riscrivere la storia, abbiamo solo celebrato un processo per necessita’ giudiziaria, subordinata alle ragioni contrarie a un implicito riconoscimento di una ragion di Stato inconfessabile, e abbiamo applicato il principio di eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge”. Il processo è stato rinviato al 7 giugno.