Fatture false per intascare l’Iva, a Messina finiscono agli arresti cinque persone. I militari della Guardia di Finanza hanno dato esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip Maria Vermiglio, su richiesta della Procura della Repubblica.
La misura prevede la custodia cautelare in carcere per tre indagati e gli arresti domiciliari per altri due. L’Autorità Giudiziaria ha, inoltre, disposto il sequestro preventivo per oltre 23 milioni di euro, su conti correnti e disponibilità finanziarie riconducibili agli indagati ed alle società coinvolte nella frode.
Nell’ambito dell’operazione, sono state denunciate nove persone. Gli illeciti ipotizzati sono associazione per delinquere finalizzata all’emissione ed all’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti e bancarotta fraudolenta.
L’indagine, che è nata da un controllo fiscale eseguito nei confronti di una ditta di vendita di prodotti informatici, ha fatto emergere l’esistenza di un’organizzazione finalizzata alla perpetrazione di frodi fiscali, capeggiata da due fratelli imprenditori ed un professionista, tutti destinatari di ordinanza di custodia cautelare in carcere.
Altri due imprenditori sono stati, invece, sottoposti agli arresti domiciliari. Questi ultimi, ricoprivano formalmente la carica di rappresentanti legali di alcune società di comodo (di fatto amministrate dai citati fratelli), che venivano utilizzate per emettere fatture false a favore di altre società riconducibili all’organizzazione criminale.
Le attività, svolte sotto la direzione della Procura della Repubblica di Messina, hanno consentito di scoprire un sofisticato sistema di frode attuato tramite un vasto giro di fatture false fra diverse società facenti capo agli indagati, operanti nel settore del commercio dei prodotti elettronici (quali telecamere, macchine fotografiche, cellulari, computer, navigatori satellitari), destinati alla grande distribuzione nonché al commercio al dettaglio via web.
Gli indagati si sono avvalsi di ditte individuali e società “cartiere”, dislocate nelle province di Messina, Pesaro, Roma, Taranto e Treviso, nonché in territorio estero (Malta, Romania e Slovenia), gran parte delle quali gestite direttamente nel capoluogo peloritano.
Il meccanismo fraudolento ha garantito un elevato profitto, rappresentato dall’Iva non versata all’erario, sia ai promotori della frode che agli amministratori delle cartiere. Nel corso degli accertamenti è emerso che gli arrestati, una volta venuti a conoscenza delle indagini, hanno provveduto ad occultare e distrarre beni di alcune società coinvolte nella frode, successivamente dichiarate fallite dal Tribunale di Messina, incorrendo anche nel reato di bancarotta fraudolenta.
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