Extrabudget della Formazione: Kafka e Pirandello alla Corte dei Conti

Il procedimento d’appello presso la Corte dei Conti, per il danno erariale legato agli extrabudget pagati agli Enti di Formazione Professionale, è un chiaro esempio del degrado che avvolge la classe politica e burocratica della Sicilia.
La vicenda è nota e si può sintetizzare così: la Formazione Professionale in Sicilia è stata un carrozzone clientelare che tutti i partiti (di maggioranza e di opposizione), con la partecipazione attiva dei sindacati, usavano come fabbrica di posti e di voti a spese della collettività.
Qualcuno, come Francantonio Genovese ne ha fatto anche un bancomat, costruendo un impero politico ed economico con epicentro in provincia di Messina.
Per allargare le maglie (e il numero di assunzioni) anche oltre i finanziamenti già accordati, è stato escogitato il metodo degli extrabudget, ossia la possibilità di pagare agli enti tutte le spese del personale, di cui venivano sovraccaricati senza che ci fosse alcuna esigenza di natura formativa.
Il politico segnalava, l’ente assumeva e la Regione pagava a piè di lista.
Così impostato il contesto è chiaro: la politica, nel rispetto della legge 10/2000, programmava le assunzioni (e raccoglieva i voti); i burocrati, nominati ai posti di vertice con assoluta discrezionalità (vedi il caso della dr.ssa Monterosso, “pescata” all’esterno dell’amministrazione, senza i titoli di eccellenza che avrebbero dovuto motivare la scelta) firmavano senza problemi i mandati di pagamento, per conservare i ben remunerati incarichi.
Davanti alla Corte dei Conti gli assessori e i dirigenti condannati in primo grado al pagamento dei danni, hanno messo in scena una commedia delle parti in cui la politica si appiglia all’ignoranza delle procedure e la burocrazia si appella al suo ruolo di esecuzione delle decisioni altrui.
E tutti hanno sostenuto che comunque il danno erariale non c’è più, perché le somme sono state recuperate trattenendole dai fondi europei destinati ai nuovi progetti di Formazione,
Qui la vicenda si fa kafkiana: la Monterosso, segretaria generale della Regione, condannata in primo grado a rifondere oltre un milione di euro per aver erogato illegittimamente gli extrabudget, minaccia l’amministrazione di cui è al vertice e la collega Dirigente generale del Dipartimento Formazione, di portare tutti in tribunale se non verranno emessi i provvedimenti di recupero coatto delle somme a valere sui Fondi Europei.
Tutto il mondo sa che ciò è espressamente vietato sia dalle norme comunitarie, sia dalla legge italiana (l’atto di pignoramento deve essere conseguente alla decisione di un giudice che non c’è mai stata): eppure l’amministrazione procede ugualmente in un atto palesemente illegittimo per salvare le tasche dei condannati.
A rendere ancora più grottesca la situazione abbiamo il Presidente dell’ARAN (l’Agenzia che tratta i contratti dei dipendenti regionali) nonché super consulente della Regione, che difende in giudizio la moglie, segretario generale della Regione, in un procedimento in cui la Regione, a rigore di logica, è parte lesa.
Un groviglio di interessi che definire conflittuale è eufemistico.
Il tutto sotto l’egida della legalità crocettiana, che cerca le pagliuzze negli occhi degli altri. Pirandello non avrebbe saputo ordire una trama più originale.