di Ignazio Aragona
Non giriamoci intorno, stanchezza e rassegnazione sono i sentimenti turbolenti che attraversano chi “vive” oggi Palermo. Il capoluogo della Regione Siciliana, la città dell’arte e della multi-culturalità storica e attuale, appare ogni giorno sempre più insostenibile, sia politicamente che economicamente e purtroppo anche socialmente.
Non voglio aprire gli occhi a chi li ha già aperti e non voglio tradurre in parole ciò che qualcuno definirebbe notismo dell’ovvio, perché quello che non va tra le mura di Palermo è ben visibile a tutti. Vorrei invece soffermarmi sulle cantilene, che politicanti giovani e vecchi (di professione) continuano a suonare e a far rimbombare nell’eco dell’immobilismo che sta portando ormai da anni a scontri verbali figli della deresponsabilizzazione.
Da una parte all’altra del parlamento, da un vicolo all’altro della città, noi cittadini ascoltiamo solo parole di scherno, richieste di dimissioni, accuse reciproche sulle responsabilità della cattiva gestione. Sono appena di ieri le accuse che il PD per bocca di Alotta ha sferrato all’ormai “dead major walking” Diego Cammarata che aveva gettato sul consiglio comunale le responsabilità sul ritardo del piano regolatore. Frasi come “un decennio da incubo” e “Cammarata si deve dimettere”, portano la mente alle gag dei “divertentissimi sgommati” in cui un Bersani (PD) schiavo delle mille diversità della sua coalizione, pur sforzandosi non riesce a dire altro che “Berlusconi si deve dimettere”.
A Palermo l’immobilismo è questo. I consiglieri comunali avrebbero da tempo potuto dimettersi facendo cadere il sindaco, in pochi ci hanno provato con petizioni rivelatesi inutili, ma il loro amore per la comodità della poltrona ha garantito al primo cittadino la possibilità ma anche l’impossibilità di far poco o nulla. Sparare a zero sul sindaco è facile, assumersi le proprie responsabilità evidentemente meno. Ci si avvia al percorso elettorale che porterà all’elezione del nuovo sindaco ma è già chiaro come le idee siano poche e confuse, sia tra la gente sia tra i candidati.
Davide Faraone, che schernisce gli avversari e si “promuove” attraverso video del 2006 , Rita Borsellino che si è fatta corteggiare per mesi prima di dire quel si alla candidatura (nel suo caso doverosa), il centro destra che per bocca del dissidente Gianfranco Miccichè si “ricompatterà contro la Borsellino”, ma che ancora non ha esposto un candidato e il plausibile Francesco Cascio che dall’alto della sua presidenza dell’ARS forse preferirebbe non rischiare di sedere sulla poltrona più scomoda da sindaco di Palermo. Un plauso probabilmente andrebbe fatto per il Generale Antonio Pappalardo, candidatosi alle elezioni con una semplice lista civica, promotore di un “nuovo rigore amministrativo che porti Palermo ad essere la città della Pace“. Auliche speranze la cui fattibilità è vissuta come una promessa davvero difficile da mantenere, e per questo è stato subito etichettato come “generale senza esercito destinato a perdere la battaglia più importante: cambiare Palermo” da Davide Faraone suo probabile diretto rivale, tra le righe di un articolo del suo staff (http://www.davidefaraone.it/default.asp?p=51).
In tutto questo odiosissimo “brontolare”, la gente che potrebbe fare di più, ha perso le forze, in alcuni casi il lavoro ed in molti la voglia e la possibilità di investire. Ma soprattutto si è persa la fiducia, ed anche una cosa semplice come la raccolta differenziata diventa un insormontabile fardello. La città ci chiede aiuto e non possiamo voltarle le spalle. E’ di questi giorni la notizia della multa civica presentata da alcuni cittadini (Palermo Indignata) all’AMIA, che ha di contro mostrato come i cittadini non aiutino per nulla nella differenziazione dei rifiuti. E’ chiaro che anche noi, gente comune, abbiamo il dovere di fare di più, a cominciare dalle piccole cose per finire con quelle importanti, come scegliere con coscienza chi ci deve amministrare.
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