È morta giovedì 10 agosto la scrittrice Michela Murgia. Aveva 51 anni. Aveva rivelato la sua malattia, un carcinoma ai reni al quarto stadio.
La scrittrice, drammaturga e opinionista soffriva di un cancro ai reni al quarto stadio. Lo scorso 11 giugno aveva annunciato il ritiro dall’attività pubblica. A metà luglio aveva sposato l’attore e regista Lorenzo Terenzi.
“È il tempo migliore della mia vita. Visto da fuori non lo è: ho il cancro, ho il tempo contato, come tutti del resto, ma io ho il conto più breve.
Dovrebbero essere elementi di non felicità.
Ma invece non conta il cosa, conta il come. E in questo momento io posso scegliere il come. Non ho paura della morte. Ho paura del dolore. Naturalmente parliamo della morte mia. Se si ammalasse uno dei miei figli, non sarei così serena”, ha detto a Vanity Fair in una lunga intervista, la scrittrice Michela Murgia, rivelando di avere un forma di tumore che non le lascia molto tempo di vivere davanti a sé. E così è stato. La scrittrice, 51 anni, si è spenta il 10 agosto per un carcinoma ai reni al quarto stadio.
A giugno aveva diretto un numero del magazine, il tema è la famiglia queer, come quella sua.
“Mi piace definirla ibrida, la mia famiglia. Ho scelto come anello nuziale una rana ad altorilievo perché è un animale di terra e di acqua, sempre pronto al salto, quindi al cambiamento, rappresenta bene la queerness in natura. Non voglio chiamare la mia famiglia non convenzionale, perché sono sicura che nella realtà queste famiglie siano già diffusissime: non esiste un nome per questa creatività degli affetti. Il problema – dice Murgia a Simone Marchetti – è togliere gli aggettivi e declinare le famiglie finalmente al plurale. Basta dire famiglia tradizionale, la famiglia composta da mamma, papà e due bambini è un’invenzione degli anni Sessanta. Nei dialetti la parola cugino e fratello è spesso comune. Perché si cresceva tutti come figli. Certo, non è nemmeno quella la famiglia queer. Perché anche quella famiglia ha il sangue come fondamento. E tutte le famiglie che hanno il sangue come fondamento sono famiglie di natura patriarcale. L’idea della famiglia queer è invece quella di fondare le sue relazioni sullo Ius Voluntatis, sul diritto della volontà. Perché la volontà deve contare meno del sangue? Perché se due o tre amiche anziane rimaste sole o vedove, coi figli già andati a vivere altrove, vogliono andare a vivere insieme, condividere le spese, la casa, avere la reversibilità pensionistica, decidere l’una per l’altra se una non può più decidere. Perché non possono farlo dentro una scatola legale, un patto sociale? In Germania già esistono queste proposte di legge, noi invece stiamo ancora a discutere quale coppia è più coppia delle altre. E chi l’ha detto che debbano essere solo due genitori? Per esempio io, Claudia e suo marito e il padre di mio figlio Raphael siamo quattro ed esercitiamo una co-genitorialità diversa, mutevole, perché negli anni abbiamo dovuto cambiare.
Noi cambiamo, perché non devono cambiare i modelli di riferimento? Cosa vuol dire che c’è una famiglia migliore e una peggiore? È la norma applicata alle relazioni che non regge. E genera dolore. Tutto quello che sfugge a questi legami viene considerato atipico ma è molto più tipico di quanto non lo sia”.
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