Di decennio in decennio: intervista con Gabriele Muccino

muccino_gabriele.jpg Gabriele Muccino c’è. Non tanto perché è un regista entrato nel cuore della gente grazie a uno sparuto gruppo di pellicole dolciamare nelle quali l’elemento sentimentale si è spostato impercettibilmente…

muccino_gabriele.jpg Gabriele Muccino c’è. Non tanto perché è un regista entrato nel cuore della gente grazie a uno sparuto gruppo di pellicole dolciamare nelle quali l’elemento sentimentale si è spostato impercettibilmente dai toni prevalenti della commedia (la buffa ma ossessiva gelosia di Ecco fatto, i romantici dolori di crescita di Come te nessuno mai) a quelli del dramma che può segnare le esistenze (il timore della svolta “matura” de L’ultimo bacio, le insoddisfazioni radicate di Ricordati di me), senza mai perdere di vista l’istituzione familiare, declinata in tutte le età, con relative disillusioni.

Non già perché è tornato in patria dopo aver lavorato negli Stati Uniti (e ci lavorerà ancora, tra non molto), con una star della statura (perfino fisica) di Will Smith in due opere – La ricerca della felicità e Sette anime – da cui trapela con insistenza la sua abilità di scrittura accordata alle regole del cinema mainstream, con il risultato garantito di commuovere le platee internazionali. E neppure perché, assai banalmente, è uscito piuttosto stanco ma indenne dai soliti ritardi aerei quando si è presentato, come previsto, a la Feltrinelli di Palermo lo scorso 5 febbraio per parlare, con i giornalisti prima e con il pubblico poi, del suo Baciami ancora, “seguito autonomo” del suo terzo film (con quasi tutti gli stessi attori, tranne – scelta sofferta – l’indisponibile Giovanna Mezzogiorno, energicamente sostituita da Vittoria Puccini), già ben piazzato in classifica, temerariamente lungo oltre due ore (stavolta gli amici di Carlo e Giulia, che si accingono pure loro a passare dalla trentina alla quarantina, non rimangono sullo sfondo e hanno pari spazio nell’economia della trama). C’è semplicemente perché, piaccia o non piaccia, trasferisce nei suoi interpreti e, di conseguenza, agli spettatori, la sua viscerale passione per quello che mette in scena. È qualcosa che sullo schermo si nota, a prescindere dagli esiti finali, e non è una qualità diffusa.

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Dopo l’esperienza in America è cambiato il tuo modo di girare in Italia? O rimangono due ambiti diversi e inconciliabili?

“In realtà, finisci con l’applicare il tuo mestiere, qualunque film tu vada a fare. Per cui, se la storia è di un certo tipo la racconterai in un certo modo, se è di un altro tipo in modo ugualmente consono alle sue esigenze. Un regista non fa che raccontare storie; dipende dalla storia la cifra stilistica che adotta.”

In questo caso i caratteri preesistevano. Però, con Marco e Veronica (Pierfrancesco Favino e Daniela Piazza), che ne L’ultimo bacio si vedevano poco, ti sei trovato davanti una pagina più bianca delle altre.

“Sì, in effetti ho dovuto davvero inventarmi la dinamica del loro rapporto, e ne è venuta fuori, credo, una delle parti più interessanti del film.”

Appuntamento nel 2051, con i tuoi personaggi ormai cinquantenni?

“Ah, chissà! Prima vediamo di arrivarci. Poi ne riparleremo…”

E Muccino, ci scommettiamo, ci sarà, anche allora.

a cura di Massimo Arciresi

(autore foto Massimo Arciresi)

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