di redazione
A due anni dall’omicidio dell’avvocato palermitano Enzo Fragalà, la pista mafiosa resta quella privilegiata, ma allo stato attuale non ci sono grandi novità e resta anche il mistero sul movente della brutale aggressione. I riflettori sono puntati sul clan di Porta Nuova. Coinciderebbero in parte le dichiarazioni rese dalla pentita Monica Vitale con quelle della donna che anonimamente ha scritto due diverse lettere -una ad un amico di Fragalà, l’altra ad un investigatore- accusando del delitto Ivano Parrino, ma le indagini hanno accertato l’estraneità ai fatti del giovane. L’anonimista aveva fornito una serie di elementi che individuavano Parrino: il nome, il ciclomotore, uno scarabeo 50 di colore grigio e l’auto d’appoggio, una Lancya Y ultimo tipo grigia -si legge nella lettera-. E proprio dal finestrino della macchina sarebbe stata passata la mazza all’assassino, che ha massacrato Fragalà. La donna racconta nelle missive che si trovava nei pressi della scena del crimine quel 23 febbraio del 2010, in macchina col suo fidanzato, ma era sera e pioveva e nessuno l’avrebbe notata. Si dice sicura però che ad aggredire il penalista sia stato Ivano Parrino -comunque scagionato da ogni accusa- picciotto di Tommaso Di Giovanni, capomafia di porta Nuova, lo stesso quartiere della pentita Monica Vitale, l’amante di Gaspare Parisi, reggente del clan, che ha parlato di un possibile movente passionale, che però non ha mai convito gli investigatore. L’avvocato Enzo Fragalà fu aggredito sotto il suo studio di via Nicolò Turrisi a Palermo, a due passi dal Palazzo di Giustizia, la sera del 23 febbraio 2010, da un uomo alto con un casco in testa. Fu massacrato a bastonate e morì dopo tre giorni di agonia in un letto di ospedale.
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