De Revolutionibus: due “Operette morali” di Leopardi al Teatro Biondo
De Revolutionibus. Due attori comici con un carro di Tespi, in una partitura raffinata di gesti e parole, “giocano” i personaggi di due Operette morali di Giacomo Leopardi (Il Copernico e Galantuomo e Mondo) per giungere ad amare e ironiche riflessioni sulla nullità del genere umano.
De revolutionibus di e con Giuseppe Carullo e Cristiana Minasi, che debutta nella Sala Strehler del Teatro Biondo di Palermo martedì 27 febbraio alle 17.30, è uno spettacolo sulla “miseria” del genere umano; miseria intesa come valore e insieme condanna.
Le scene e i costumi dello spettacolo sono di Cinzia Muscolino, la scenotecnica di Pierino Botto, le luci di Roberto Bonaventura.
Repliche mercoledì 28 febbraio e giovedì 1 marzo alle 21.00.
Se ne Il Copernico l’uomo, ricollocato ai margini dell’universo, può sperare nell’arte poetica, dunque nel rivoluzionario mirare alla profondità della propria miseria, in Galantuomo e Mondo la rivoluzione procede al contrario e diventa involuzione, disegnando gli estremi d’un freddo quadro di miseria. La prima “Operetta infelice e per questo morale” si ribalta lasciando il posto ad un’“Operetta immorale e per questo felice”.
De Revolutionibus: il paradosso della “miseria del genere umano”
«Con Leopardi – spiegano Carullo e Minasi – approfondiamo il paradosso della “miseria del genere umano” doppiamente declinata come valore, il poter godere delle meraviglie del Creato dopo aver preso atto della propria piccolezza dinanzi all’universo, e come condanna, visto che gli uomini non si accontentano di essere quello che sono, andando raziocinando a rovescio, dunque facendo della menzogna un valore».
«Leopardi ha la capacità di rintracciare gli estremi di una poesia mitica e universale. Le tematiche del Destino dell’essere umano, del suo drammatico rapporto con Natura e Ragione, dell’Omologazione a discapito della Singolarità suonano oggi tremendamente profetiche e forti – quasi assordanti – amplificandosi ogni stortura e prepotenza, divenendo noi uomini moderni servi delle nostre stesse macchine e apparenze. Leopardi parla ancora a noi e, non lo escludiamo, di noi. (…)
Come due attori girovaghi, con pochi e poveri strumenti d’artigianato, ci mettiamo al servizio di un teatro con cui Leopardi decostruisce ogni ridicola mascherata e illusione del genere umano, anticipando le tematiche pirandelliane.
Il convergere del nostro pensiero con quello di Leopardi si traduce in un teatro nel teatro; in un dialettico alternarsi tra persona e personaggio; in un palco-teatro della vita che interroga se stessa, i suoi attori, i suoi spettatori. È forse il tentativo di mostrarci, nell’onesta offerta di noi, piccola compagnia al cospetto del pachidermico sistema teatrale».