ROMA (ITALPRESS) – Tra il 2012 e il 2023, in Italia, sono spariti oltre 111 mila negozi al dettaglio e 24mila attività di commercio ambulante; in crescita le attività di alloggio e ristorazione (+9.800). Ma se è vero che c’è una riduzione importante della numerosità, se si guarda ai “sopravvissuti” il commercio è ancora vitale e reattivo: avremmo potuto essere sterminati durante la pandemia invece abbiamo perso solo il 6,7% nel complesso della sede fissa e i sopravvissuti sono, comunque, 440mila. Questi i principali risultati dell’analisi “Demografia d’impresa nelle città italiane”, realizzata dall’Ufficio Studi di Confcommercio in collaborazione con il Centro Studi Guglielmo Tagliacarne, che nel dettaglio evidenzia come il commercio in sede fissa perde in 11 anni oltre 111 mila unità (-20,2%) cioè un’impresa attiva su cinque è morta e non è stata sostituita, 31 mila se ne sono andate forse per sempre nel periodo delle recenti crisi; peggio è andata al commercio ambulante (-24 mila unità) che vive una fase di profonda ristrutturazione, da accogliere con favore se è razionalizzazione delle licenze, da guardare con preoccupazione se è fenomeno che acuisce la riduzione dei livelli di servizio alla cittadinanza, cioè quando non è più capace di fare preziosa supplenza al commercio fisso.Meglio alloggio e ristorazione (+9.800 unità), anche se a questa crescita numerica non corrisponde un’analoga crescita qualitativa dell’offerta di queste attività. Cambia anche il tessuto commerciale all’interno dei centri storici con sempre meno attività tradizionali (carburanti -40,7%, libri e giocattoli -35,8%, mobili e ferramenta -33,9%, abbigliamento -25,5%) e sempre più servizi e tecnologia (farmacie +12,4%, computer e telefonia +11,8%), attività di alloggio (+42%) e ristorazione (+2,3%). Inoltre, tra il 2012 e il 2023 nel commercio, negli alberghi e nei pubblici esercizi si riducono le imprese italiane (-8,4%) e aumentano quelle straniere (+30,1%). E metà della nuova occupazione straniera nell’intera economia (+242 mila occupati) è proprio in questi settori (+120 mila). Infine, la riduzione di attività commerciali è più accentuata nei centri storici rispetto alle periferie, sia per il Centro-Nord che per il Mezzogiorno. “Prosegue la desertificazione commerciale delle nostre città, un fenomeno che riguarda soprattutto i centri storici dove la riduzione dei livelli di servizio è acuita anche dalla perdita di commercio ambulante. Il commercio rimane comunque vitale e reattivo e soprattutto mantiene il suo valore sociale – afferma il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli -. Rimane, in ogni caso, prioritario contrastare la desertificazione commerciale con progetti di riqualificazione urbana per mantenere servizi, vivibilità, sicurezza e attrattività delle nostre città. In questa direzione vanno il progetto Cities di Confcommercio e la rinnovata collaborazione con ANCI a conferma del nostro impegno per favorire uno sviluppo urbano sostenibile e valorizzare il ruolo sociale ed economico delle attività di prossimità nelle città”, conclude.Anche il direttore dell’Ufficio Studi di Confcommercio, Mariano Bella, evidenzia che “i dati sono in peggioramento: il commercio al dettaglio in sede fisica si riduce del 20%, quindi 1 impresa su 5 in 11 anni è scomparsa e questo riduce il livello di servizio commerciale alla cittadinanza. Questa riduzione media del 15% in termini di densità si distribuisce sulle nostre città in maniera fortemente eterogenea con il Sud che tiene un pò meglio, anche grazie alla crescita di B&B, alberghi e ristoranti, mentre i sono le altre aree che perdono anche il 30% che significa non rischio di desertificazione ma conclamata desertificazione. C’è la parte negativa di riduzione di commercio in sede fissa e di densità, ma valorizziamo anche i 440mila negozi che sono sopravvissuti perchè, se verifichiamo l’intensità delle crisi negli ultimi 11 anni – spiega Bella -, quindi dalla crisi economico-finanziaria del 2008-2012 alla pandemia e alla crisi energetica, potevamo anche scomparire. Il commercio, invece, è vitale e lo vediamo anche da settori in crescita: dalle farmacie ai computer, anche gli alimentari tutto sommato tengono; dove c’è domanda il commercio risponde positivamente anche con l’innovazione e attraverso le piattaforme online”. Secondo Confcommercio per evitare gli effetti più gravi di questo fenomeno di desertificazione, il commercio di prossimità deve puntare su efficienza e produttività, anche attraverso l’innovazione e la ridefinizione dell’offerta. E resta fondamentale l’omnicanalità, ovvero l’utilizzo anche di un canale online ben funzionante (negli ultimi cinque anni gli acquisti di beni su Internet sono quasi raddoppiati passando da 17,9 miliardi del 2019 a 35 miliardi del 2023). La crescita dell’e-commerce è la maggiore responsabile della riduzione del numero di negozi ma resta comunque un’opportunità per il commercio “fisico” tradizionale.
– Foto f04/Italpress –
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