Crisi vitivincola siciliana. Abbassamento delle rese per riequilibrare il mercato e il reddito, maggiore sostegno alle piccole e medie imprese, divieto assoluto di zuccheraggio, maggiori controlli contro le frodi e lo stop all’emigrazione dei vigneti siciliani verso il nord Italia.
Sono queste le richieste avanzate dalla Cia Sicilia Occidentale che ieri ha raccolto il grido di dolore di oltre 500 produttori che hanno preso parte, al Baglio Basile di Petrosino, al convegno “Crisi vitivinicola: le proposte della Cia per rilanciare il settore”, con un focus sul vino comune, l’ex vino da tavola. Un’assemblea con una grande partecipazione, a tratti infuocata e dibattuta con i toni forti dettati da un abbassamento dei prezzi – neanche 20 centesimi al litro, oggi, per il vino comune – che mette in serio pericolo la sopravvivenza di migliaia di aziende, soprattutto nella parte occidentale dell’Isola.
“Abbiamo raccolto le sollecitazioni e le richieste di sostegno– ha detto Antonino Cossentino, presidente della Cia Sicilia Occidentale – ma ci siamo anche preoccupati di individuarne le cause. E’ sotto gli occhi di tutti che l’attuale sistema che governa il settore in Italia ed in Europa non premia gli sforzi dei viticoltori siciliani. Bisogna attuare una strategia che in cinque mosse ci permetta di continuare a respirare e a non morire, cinque punti per avviare l’inizio di una ripresa sotto le insegne del buonsenso e della legalità.
Per i vini da tavola chiediamo almeno di ridurre il tetto di produzione da 500 a 250 quintali per ettaro e di rafforzare i controlli per impedire la vinificazione di prodotti non idonei. Su questo solco è anche indispensabile promuovere in sede europea il divieto della pratica di zuccheraggio in area B, cioè in diverse zone della Spagna, della Francia, della Germania e in alcune province italiane. Allargando lo sguardo a tutto il comparto, chiediamo di incrementare le percentuali di concorso pubblico per le azioni di promozione previste dall’Ocm vino, rivedendo la ripartizione del sostegno a favore delle piccole e medie aziende. Per fermare l’emorragia dei nostri vigneti verso il nord Italia, chiediamo anche di vietare il trasferimento dei diritti d’impianto in altre regioni”.
Rosa Giovanna Castagna, presidente di Cia Sicilia che ha presieduto i lavori del convegno, ha per questo annunciato che chiederà alla Regione “l’istituzione di un tavolo di crisi per discutere in maniera più approfondita le problematiche del settore”.
Il vino comune non ha un disciplinare rigoroso come Doc e Igt. E’ regolamentato dal Testo unico (legge 238 del 2016) che prevede una resa massima di 500 quintali di uva per ettaro. Nelle regioni italiane maggiormente vocate alla produzione di vino comune, Sicilia compresa, si registrano grandi quantità di giacenze. Al 15 giugno, secondo i dati ministeriali, nelle cantine siciliane c’era una giacenza di oltre 760 mila ettolitri; 500 mila di questi sono ammassati nella sola provincia di Trapani, altri 122 mila in quella di Palermo.
In Veneto c’è una giacenza che va oltre il doppio della nostra isola, quasi 1 milione e 800mila ettolitri; in Emilia Romagna, invece, poco più di 3 milioni di ettolitri; mentre la Puglia si attesta a quota un milione e mezzo di ettolitri. Bisogna sempre ricordare che la Sicilia è la regione italiana con la maggiore superficie vitata: al vino comune sono dedicati quasi 9.000 ettari, più del doppio rispetto al Veneto. Le cause dell’attuale andamento negativo di mercato sono riconducibili a queste enormi giacenze che finiscono per appesantire il mercato e deprimere i prezzi.
Anche per questo le cantine sociali presenti al convegno, per voce di Dino Taschetta, presidente della Colomba Bianca, hanno chiesto un “intervento immediato” di sostegno alle imprese attraverso la “distillazione di crisi”.
Sugli interventi possibili nell’Ue ha invece parlato Dino Giarrusso, neo parlamentare europeo M5S e componente della commissione agricoltura: “C’è una sola strada percorribile: cambiare i regolamenti. Ci tenevo a far parte della commissione agricoltura perché gli imprenditori siciliani sono stati spesso danneggiati dai regolamenti di Bruxelles.
Per lo zuccheraggio lavoreremo su due fronti: innanzitutto l’obbligo di scrivere in etichetta se quel vino è stato ottenuto con l’aggiunta di zucchero raffinato, una tutela non solo per i produttori ma anche e soprattutto per i consumatori. Il secondo passo sarà il divieto assoluto di zuccheraggio a qualsiasi latitudine: per innalzare la gradazione alcolica bisogna tornare a usare i mosti concentrati, che sono un prodotto dell’uva. Questo darebbe nuovi sbocchi commerciali alla produzione siciliana, un po’ come avveniva una volta”.
Di Europa e ambiente ha parlato anche Vincenzo Cusumano, direttore dell’Irvo, l’Istituto regionale del vino e dell’olio: “Innanzitutto l’Irvo è accanto ai produttori per dare loro tutto il sostegno possibile dal punto di vista tecnico. Per uscire dal problema delle grandi giacenze oltre ad abbassare le rese è necessario incrementare l’imbottigliato, che negli ultimi anni in Sicilia è cresciuto dal 15 al 40 per cento, sfruttando lo strumento della certificazione, che dà qualità al prodotto.
Ma c’è anche un paradosso da contrastare: l’Europa vuole una viticoltura sostenibile e la Sicilia si sta impegnando molto, ricordiamoci è che la regione più bio in tutto il continente. Ma dall’altro consente alle aziende di spingere sulla produzione consentendo l’uso di concimi chimici e di anticrittogamici, senza dimenticare il sovrabbondante uso di acqua per irrigare piante spinte al massimo della produzione. Fattori che danneggiano e impoveriscono il pianeta”.
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